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- Scritto da Ferdinando Piccolo
- Categoria: Cronaca
- Pubblicato: 21 Febbraio 2012
- Visite: 1250
MILANO - Alcuni bossoli lasciati cadere a due passi dall'auto. Sul parabrezza un bigliettino anonimo. Poche parole e l'augurio di fare la stessa fine di Antonino Scopelliti.Destinatario del messaggio
è Aldo Pecora, 26 anni, di Cinquefrondi, autore di un libro sul giudice antimafia assassinato nel 1991, e soprattutto presidente dell'associazione Ammazzateci tutti.
Ma nel breve testo si citano anche i magistrati Giuseppe Creazzo e Nicola Gratteri, rispettivamente procuratore di Palmi e procuratore aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. Il tutto alla vigilia dell'inaugurazione della nuova aula bunker di Palmi, intitolata proprio alla memoria di Scopelliti.
L'ASSOCIAZIONE - Ammazzateci tutti, l'associazione che Pecora guida, è stata fondata nel 2005 con l'intento di sostenere la battaglia dell'antimafia in Calabria, dove l'avanzata della 'ndrangheta è giunta a minacciare le più alte istituzioni, dopo aver pervaso di legami sospetti e connivenze le stanze del potere. Gratteri, 53 anni, già minacciato più volte per la sua attività inquirente, è autore di indagini che hanno colpito al cuore le principali cosche calabresi. Proprio a Gratteri si deve ad esempio il recente arresto del boss Rocco Aquino. Con lo storico Antonio Nicaso ha scritto diversi saggi, sulla natura e sulla diffusione nel mondo della 'ndrangheta. Creazzo è stato in passato vice capo dell’Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia. Da pm ha indagato sull’omicidio di Francesco Fortugno, il vice presidente del Consiglio regionale della Calabria assassinato a Locri il 16 ottobre 2005.
NELLA CASA DEL BOSS - Aldo Pecora è stato oggetto di discussione in Calabria nei giorni scorsi. Un articolo pubblicato dal Corriere della Calabria ha svelato che l'appartamento in cui Pecora risiede in affitto è di proprietà della famiglia del boss Vincenzo Longo. Il palazzo in questione, che al catasto del tribunale di Reggio Calabria risulta ancora non ultimato, è stato posto sotto sequestro su richiesta della Dda di Reggio Calabria lo scorso sette febbraio. Pecora dichiara la propria totale innocenza. «Innanzitutto dal 2004 vivo a Roma, mentre la mia famiglia risiede in quell'appartamento fin dal 1997», spiega. E aggiunge: «Non sapevo che il palazzo era di proprietà di presunti mafiosi. Si tratta di volgari accuse, la macchina del fango si sta rivolgendo anche contro di me».
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