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- Scritto da redazione
- Categoria: AmbienteInforma
- Pubblicato: 24 Aprile 2018
- Visite: 1748
Nelle acque marine superficiali italiane si riscontra un’enorme e diffusa presenza di microplastiche comparabile ai livelli presenti nei vortici oceanici del nord Pacifico, con i picchi più alti rilevati nelle acque di Portici ma anche in aree marine protette come le Isole Tremiti. Sono questi alcuni dei risultati principali diffusi dall’Istituto di Scienze Marine del Cnr di Genova (Ismar), dall’Università Politecnica delle Marche (Univpm) e da Greenpeace Italia, frutto dei campionamenti nelle nostre acque realizzati durante il tour “Meno Plastica più Mediterraneo” della nave ammiraglia di Greenpeace, Rainbow Warrior, che la scorsa estate ha visitato le coste del Mediterraneo.
Le plastiche sono polimeri sintetici la cui produzione è esponenzialmente aumentata negli ultimi 50 anni: solo nel 2015 sono stati prodotti 300 milioni di tonnellate e ogni anno in mare ne finiscono circa 8 milioni di tonnellate. I risultati di questo studio confermano l’enorme presenza anche nel Mediterraneo di microplastiche con valori paragonabili a quelli che si trovano nelle “zuppe di plastica” presenti nei vortici oceanici. Preoccupante è il fatto che concentrazioni cosi elevate di microplastiche siano evidenti anche nel Mediterraneo, un bacino semi-chiuso fortemente antropizzato, con un limitato riciclo d’acqua che ne consente l’accumulo.
Le microplastiche provengono da diverse fonti: quelle primarie derivano principalmente da prodotti per l’igiene personale (cosmetici, creme, dentifrici) o sono le materie prime come pellet o polveri di plastica utilizzate per la produzione di materiali plastici. Le microplastiche secondarie derivano invece dalla frammentazione e decomposizione di materiali plastici di dimensioni più grandi. Diversi studi hanno inoltre evidenziato che le microplastiche secondarie contengono additivi chimici come gli ftalati.
La campagna ha permesso di analizzare campioni di acqua di mare prelevata in 19 stazioni lungo la costa italiana, da Genova ad Ancona. I prelievi sono stati effettuati sia in zone sottoposte a un forte impatto antropico (foci di fiumi e porti) che in aree marine protette.
“I risultati indicano che l’inquinamento da plastica non conosce confini e che i frammenti si accumulano anche in aree protette o in zone teoricamente lontane da sorgenti di inquinamento”, dichiara Francesca Garaventa, responsabile Cnr-Ismar dei campionamenti. “Infatti, nella stazione di Portici zona a forte impatto antropico, si trovano valori di microplastiche pari a 3,56 frammenti per metro cubo ma valori non molto inferiori - 2,2 - si trovano anche alle Isole Tremiti”.
L’analisi ha permesso di identificare 14 tipi di polimeri. La maggior parte delle plastiche ritrovate è fatta di polietilene, ovvero il polimero con cui viene prodotta la maggior parte del packaging e gli imballaggi usa e getta.
“I dati raccolti confermano che i nostri mari stanno letteralmente soffocando sotto una montagna di plastica e microplastica, per lo più derivante dall’uso e dalla dispersione di articoli monouso” commenta Serena Maso, campagna mare di Greenpeace. “Per invertire questo drammatico trend bisogna intervenire alla fonte, ovvero la produzione. Il riciclo non è la soluzione e sono le aziende responsabili che devono farsi carico del problema, partendo dall’eliminazione della plastica usa e getta.”
Questa importante campagna di monitoraggio, oltre a fornire un ampio quadro del livello di contaminazione delle coste italiane, sottolinea l’importanza di investire in programmi di raccolta dati e di identificare metodologie standard di campionamento e analisi.
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