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7 ottobre 1571, Lepanto, Grecia. Il conte Vincenzo Marullo sta seguendo la funzione religiosa insieme ai suoi uomini. Sono partiti a bordo di una galera ormai da alcuni giorni dalla loro Bovalino, tanti hanno paura di non rivederla più.

Di fronte hanno uno spettacolo impressionante: nello stretto tratto di mare che li separa dalle isole Curzolari sono posizionate  180 galere, 30 galeotti e centinaia di brigantini e fuste, con a bordo circa 25.000 uomini che lanciano grida di battaglia. Al centro, sulla nave del Sultano  Muezzinzade Alì Pascià, sventola l'enorme bandiera verde con su scritto 28.900 volte a caratteri d'oro il nome di Allah. E' l'invincibile Flotta Ottomana, da secoli terrore dei mari.
Alla sinistra dello schieramento ottomano vi è uno dei tre comandanti della battaglia, colui che era considerato sia dagli alleati che dai nemici il miglior ammiraglio musulmano: Uluc Alì, conosciuto dai cristiani col nome storpiato di Uccialì. In realtà era nato con il nome di Giovanni Dionigi Galeni, a Le Castella, in Calabria. Lo scenario che si apre davanti a lui è ancora più spaventoso: la vicina città di Patrasso neanche si vede, coperta dalle vele delle navi ferme in formazione serrata. Sono 204 galere e soprattutto 6 galeazze, i castelli galleggianti. A bordo ben 36.000 soldati e 30.000 tra marinai e rematori, armati anche loro alla leggera per l'occorrenza. Anche qui al centro sventola un vessillo, benedetto prima della partenza dal papa, il futuro santo Pio V. Così si presenta l'armata cristiana, la Lega Santa, costituita da truppe inviate da Venezia, della Spagna, dal regno di Napoli e di Sicilia, da Roma, Genova, membri dei Cavalieri di Malta, del Ducato di Savoia, di Urbino e dal Granducato di Toscana. Erano tutti stati chiamati dal Papa per combattere contro il nemico infedele, dopo che la città di Famagosta, sull'isola di Cipro, dominio dei veneziani, era stata distrutta dagli ottomani e i suoi occupanti trucidati. Il comandante della città, Marcantonio Bragadin, era stato torturato per giorni e giorni, scuoiato vivo, e la sua pelle riempita di paglia e portata a Costantinopoli. All'appello rispose anche il feudo di Bovalino lanciato dal capo della cristianità, tramite il suo feudatario.
Vincenzo Marullo, conte, era uno zio materno del beato Camillo Costanzo. Per anni aveva abitato a Napoli, dove per mantenere una vita agiata aveva speso quasi tutto il suo patrimonio. Tornato nel suo paese, armò una galera arruolando gente del posto e partì. Il suo sarà il contingente vincitore, ma avrà in cambio alla sua partecipazione ben poca parte del bottino. Questo non lo fermerà comunque di edificare nel 1581, per ringraziare la Madonna per la vittoria, una cappella annessa alla già esistente chiesa del rione Zopardo, quella cui si racconta campane abbiano suonato a festa il giorno del suo ritorno dalla battaglia. Acquistò anche un quadro raffigurante la Madonna della Vittoria o del Rosario, festività istituita proprio a seguito di quello scontro.
L'altro calabrese presente, Uccialì, ha invece una storia ben diversa. Sta per entrare in convento quando nel 1536, a 17 anni, viene rapito dai pirati turchi. A raccontarci il resto della storia è Miguel de Cervantes, il celebre autore del Don Chisciotte, anch'egli schiavo dei saraceni, e anch'egli marinaio nella battaglia di Lepanto: Giovanni Dionigi Galeno fu messo al remo, ma rinnegò la religione cristiana dopo alcuni anni, per poter uccidere un turco che lo aveva schiaffeggiato e non essere di conseguenza ucciso in base alla legge islamica. Diventato musulmano e preso un nome islamico, sposò la figlia di un altro calabrese convertito, Jaʿfar Pascià e iniziò la propria carriera di corsaro, con grande successo, ma non attaccò mai la sua Calabria. La leggenda vuole che solo una volta rimise piede nel suo paese natale, per incontrare la madre, che però non lo volle vedere perchè convertitosi. Da qui fu una serie di successi dopo l'altro, che lo portò a diventare prima ammiraglio, e poi governatore di Algeri, Tripoli e Tunisi. Infine comandate della flotta ottomana. Non dimenticò mai la sua terra, tanto da fondare un villaggio a cui dette il nome di "Nuova Calabria", che alla sua morte lasciò diviso in parti ai suoi servi.
Non sappiamo se i due calabresi si fronteggiarono direttamente durante la battaglia. Questa fu la battaglia della vittoria della cristianità contro l'islam, una seconda Poitiers, e come il precedente scontro ha determinato il futuro dell'Europa. E' stata forse la più importante e grande battaglia navale della storia, in cui la flotta islamica ne uscì distrutta, non tornando più ai livelli precedenti. Fu anche la prima battaglia navale in cui l'uso dell'artiglieria e delle armi da fuoco fu determinante.  
Non abbiamo neanche notizie su come si comportarono i nostri concittadini durante le ore e ore di battaglia, in cui persero la vita circa 37.500 uomini. Sappiamo invece quello che fece il calabrese rinnegato, Uccialì, che è considerato come l'unico "quasi-vincitore" dello schieramento musulmano, e non solo perchè l'unico alto ufficiale che, insieme ad alcune navi da lui comandate, riuscì  a salvarsi dalla morte o dalla prigionia fra tutte le truppe islamiche partecipanti allo scontro. Riuscì a capire dall'inizio le innovative strategie dei cristiani, fu l'unico a riuscire a insediare e ferire il comandante in campo della Lega Santa Don Giovanni d'Austria e a strappare e portare in trionfo a Istanbul il vessillo dei Cavalieri di Malta. Sarà inoltre incaricato di ricostruire e comandare la nuova flotta, e chiamato da quel momento Alì la Spada.
Due personaggi opposti, che però sono accomunati dall'aver fatto parte attiva del passato glorioso della nostra terra.