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Garibaldi, Verga, Virgilio, Papa Giovanni XXIII, Aldo Moro... Studiati a scuola o semplicemente sentiti nominare, tutti abbiamo in mente un'idea, spesso errata e stereotipata, di questi illustri personaggi che hanno fatto la storia d'Italia e non solo. Quasi nessuno invece conosce qualcosa di altri personaggi, nostri concittadini del passato, a cui il nostro paese ha dedicato, come gli altri nominati sopra, vie e strade.

Nomi che ripetiamo ogni giorno ma che per noi non hanno nè un volto nè una storia. L'intento di questa rubrica è quello di tirar fuori dall'oblio questi nostri meritevoli avi.

L'articolo di questa settimana vuol tracciare un profilo su quella che è stata la figura di Francesco La Cava, grande uomo di scienza ed esperto d'arte, alla cui memoria Bovalino, oltre che una strada, ha dedicato anche il Liceo, tra cui studenti ben pochi conoscono un qualcusa su quella che fu la sua vita e le sue opere.

 Non fu Bovalino a dargli i natali, ma il vicino paese di Careri, il 25 maggio 1877, da Giuseppe e Giuseppina Colacresi. Il primo a poterne apprezzare le doti intellettuali fu lo zio Rocco La Cava, parroco del centro natio, che gli dette i primi insegnamenti, per poi iscriverlo al Seminario Vescovile di Gerace.  Continuò ancora la sua formazione nel Liceo Classico "Maurolico" di Messina. Terminò infine gli studi a Napoli, laureandosi in Medicina nel 1902. Appena finita la carriera universitaria entrò a far parte dell'equipe del celebre medico Antonio Cardarelli, dovuto poi abbandonare per compiere il servizio militare.

Nel 1904 tornò nella sua terra, per compiere l'umile servizio di medico rurale a Bovalino. E compì proprio qui i suoi studi medici più importanti, riuscendo a capire come sintomi all'epoca sconosciuti in Europa fossero da ricondurre a le cosidette "malattie tropicali", oltre a riuscire a trovarne le cure adatte. Sono di questo periodo i trattati "Un caso di febbre Dengue", “Il primo caso di bottone D'Oriente", "Le malattie tropicali a Bovalino", "Sulla presenza di Leishmanie nel liquido cefalo-rachidiano di un bambino affetto da Kala-Azar", "La chemioterapia da dissenteria amebica".

Maggiore Medico nella Prima Guerra Mondiale, al termine di essa si trasferì a Roma, dove aprì un ambulatorio frequentato da personaggi del calibro di Pietro Mascagni, Francesco Cilea e Vincenzo Gemito, e chissà, conoscendo la sua grande erudizione in campo artistico, a quale dotte discussioni si sarebbe potuto assistere durante quelle visite.

Dette prova del suo talento su questo argomento nel 1923. Lui, grande osservatore di sintomi medici, osservando nella Cappella Sistina il Giudizio Universale noto' il volto di Michelangelo tra le pieghe della pelle di San Bartolomeo, scrivendo a proposito il saggio "Il volto di Michelangelo scoperto nel Giudizio Finale".

Sono degli anni '30 invece i suoi studi in cui unì la sua grande fede e l'ampia conoscenza scientifica, con la stesura dei trattati “Ut videntes non videant” e "La passione e la morte di Nostro Signore Gesu' Cristo illustrate dalla scienza medica", in cui per primo analizzò le ultime ore di vita terrena di Gesù Cristo dal punto di vista sia teologico che medico-scientifico.

Morì a Roma Il 25 maggio 1958.