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In questo periodo si parla spesso di privacy e sicurezza.
L’ Unione Europea ha preso sul serio la questione del trattamento dei dati personali da parte delle aziende obbligando gli Stati membri ad adeguarsi ad un regolamento finalizzato a garantire una maggiore tutela dei dati personali.
Sono tantissimi i siti a cui ci iscriviamo e di cui accettiamo l’informativa senza magari soffermarci a leggerla. D'ora in poi le aziende dovranno rendere il più esplicito possibile l'utilizzo che faranno dei nostri dati e anche la durata e le modalità per ritirare eventuali consensi prestati in precedenza.
Ma ad abusare dei nostri dati non sono solo le aziende. I nostri dati sono costantemente sotto minaccia e in parte contribuiamo anche noi con un approccio superficiale e leggero.
Ad esempio con l’utilizzo di password non abbastanza sicure e facili prede di hacker.
Un’indagine condotta su 61 milioni di password rubate da varie fonti, dunque ormai pubbliche e compromesse, firmata da Virginia Tech e Dashlane, ne è la prova.
Tra le maggiori tendenze emerse il “password walking”, l’errore, cioè, di impostare una password frutto di caratteri e numeri vicini e prossimi fra loro: i classici “123456” e derivati.
Altro atteggiamento diffuso è quello di usare nomi di brand, figure popolari della cultura e dello spettacolo, squadre sportive e riferimenti simili. Ulteriore elemento è la frequenza a riciclare le password fra i vari servizi online: questo capita con le piattaforme di shopping e, fatto più pericoloso, con quelle di posta elettronica.
Altro atteggiamento errato: quello di usare il nome del sito per cui si sta impostando quella chiave come parte della password. Tipo “Facebook 6789” o simili. 

Quindi più attenzione alla scelta delle password specie quando si tratta di siti ecommerce o posta elettronica.