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- Dettagli
- Scritto da Chiara Nirta
- Categoria principale: Rubriche
- Categoria: Stille di cultura
- Pubblicato: 25 Giugno 2012
- Visite: 1718
Capitolo 2
Ma perché la gente s'accascia? Cioè, perché s'accontenta di arrancare a stento in salita, limitandosi alla mera sopravvivenza? Svolgono una vita pregna di qualunquismi e brutture, senza amore per un libro, senza curiosità di conoscere, privi della sensazione ruvida e sviscerante che la pagina della copertina ti scatena tra i polpastrelli. Pensano solo alle griffe, alle auto, al consumismo che gli riarde cuore ed acume.
Mi ci vedi papà? Tra questa gente lobotomizzata e senza senso critico, senza amore per se stessi, privi di riscatto alla connivenza. Papà è un dolore strano, un dolore che ti coglie a tratti e ti recide sempre qualche filo di serenità, è un dolore che ti investe dopo anni. Dapprima rimane incubato in un angolo remoto del cervello, un'autodifesa che lo relega in un antro qualsiasi purché non fuoriesca, purché non ti renda brandelli, attende pronto ad esploderti nelle meningi inevitabilmente nel momento elettivo. Il momento elettivo è quando sei padre a tua volta. Ora vedo mia figlia, la osservo crescere, cadere e sbucciarsi le ginocchia, ed io son lì pronto a baciarle le ferite a prometterle mondi e ninnoli per non farla continuare a lacrimare, per lenirgli qualche brivido di dolore: è esattamente in quell'attimo che penso che io le mie escoriazioni me le son lenito da solo. Come potevo papà fare altrimenti? Perché tu non c'eri. Perché Dio ti ha voluto tra gli angeli, perché quel Dio che a mio particolarissimo modo credo esserci, aveva bisogno di quei tuoi sorrisi comprensivi e flebili di cui io manco, di cui non ho goduto a sufficienza. Che vuoi che mi ricordi? Riminiscenze vacue e sommesse, ritagli rari di gioia incuneati nel dolore dell'assenza.
A volte mi sperdo, mi smarrisco, e lo sguardo mi cade nel vuoto. Io ho un umore strano e solare, sempre annebbiato da un po' di malinconia, che nasce forse da una mancanza, ch'è forse caratteristica congenita, o forse eccedenza d'idealismo. Io non credo nel sole del domani, cosa vuoi che sia un futile sole del domani paragonato all'immanenza sempiterna dei millenni in espansione? Ma credo ancora alla brava gente, anche se è un mondo pazzesco, un mondo che implode e zompetta evolvendosi e senza mai voltarsi. La verità è che siamo polvere e che gli uomini vanno e vengono, si susseguono come le giornate di sole: vite traboccanti albeggiano e annottano sul grande palcoscenico del vivere promiscuo che ci rende tutti esuli, tutti pulviscolo aleggiante, alla mercé delle raffiche di vento che ci spazzano, accompagnandoci in questo tumulto sadico e meraviglioso di attimi e di mesi.
Capitolo 3
Niccolò è un uomo come ce ne sono pochi, nella sua anima sono intelaiate molte utopie. E' un piccolo bazar il suo spirito, in cui si annovera veramente di tutto.
Niccolò fonda l'esistenza sua particolarmente su una frase "amare al congiuntivo presente i libri: esserne amanti". Perché quest'ultima ha differenti valenze, è innanzitutto un sostantivo: "io sono L'amante indiscusso del mio libro", è poi un aggettivo con valore verbale: "Io sono uno che ama", prevalentemente i libri (Lapalissiano).
E' lì che s'impernia la sua essenza primigenia, in quei fogli zeppi di parole, in quei mondi che visita se la routine lo investe e lo coarta, se rotea gli occhi e s'accorge che gli indifferenti sono più numerosi dei viventi, se si vuole astrarre in un'overdose di sogno reale e che sistematicamente cotrappone al mondo asfittico che gli aderisce stretto, perché altrimenti le gambe gli vengo meno. Niccolò è un giornalista, vive di parole. Niccolò è un giornalista che ha a che fare con una miriade di notizie. Gli passano di tra le mani omicidi, stupri, rapine, messaggi pubblicitari, necrologi, eventi culturali e ne è intessuto fino al midollo di tutta quella merda. E' stomacato, schifa le persone: le conosce oramai troppo dettagliatamente, sa bene di cosa può essere capace la "bestialità umana" e allora preferisce i cieli sterminati e tersi. Predilige il mare aperto e sconfinato che alla sera si mimetizza con un cielo del medesimo colore, ama accigliarsi e lambiccarsi il cervello per distinguere la lineetta che congiunge i due, ma non gli riesce mai, e con una crollata di spalle sorride scuotendo la testa. Ma ritenta sempre egualmente.
Niccolò ha due occhi da bambino, castani e lontani, sempre ridenti e gonfi a tratti dalla spossatezza. Ha i capelli neri ed un naso rotondeggiante come il viso. Mani affusolate e proporzionate al corpo, la cui gestualità integra l'enfasi che dalla sua bocca sgorga con naturalezza, così come il vento tra le canne in autunno. E' natura, è insito il virtuosismo del suo scandire. Niccolò ha perso il padre a quattordici anni, ed ora tutto L'Amore che può ed anche quello che gli è stato amputato, confluisce tutto in quella piccola palletta sprizzante che rimbalza in casa all'unisono, che con la voce squillante tinge di color coriandolo ogni parete, e che è sua figlia Anna. Ma che diviene Annetta quando lo fa infervorare, o Arletta quando se la coccola e ripensa a Montale.
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