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Kally era prona a faccia in giù sui sassi, sui sassi della spiaggia. Dovete immaginarvela stesa a pelle di leone, sulle pietre roventi mentre la pelle le bruciava e in mano reggeva un coltellino a scatto. Tutta la gente intorno assiepata, neppure un centimetro libero di bagnasciuga, eppure era così sola nella sua impermeabilità esistenziale, non udiva nulla. L'ambiente circostante col suo tramestio le rimbalzava addosso.

Ciononostante percepiva un dolore serpeggiarle nello stomaco e nelle vene e nelle unghie, persino nei capelli: irrorava tutto. Era sola, se n'era fuggita da lì, dal luogo in cui non la capivano, in cui la osservavano a occhi strabuzzati, ora era al mare Kally, prona. Lentamente avvicinava il coltello al braccio destro e vergava con la lama affilatissima. Primo strato di epidermide lacerato. Un "crrrek" muto, foderato ne scaturì. Piangeva sui sassi e il sole le svaporava l'acquoso salino delle lacrime, si mischiava col mare, col mare fermo e sciabordante, ma fioco lo sciabordio. "Ora muoio, il collo si spezza, ora incido, la pelle si sbriciola e muto come le serpi: un abito desueto e tutto mio. Non intendono, che ne sanno? Non si può essere mai abbastanza distanti per non trovarsi pensava Baricco, doveva dirlo però che si può essere così vicini, una limitrofia talmente labile che non permette di vedersi, perché non l'ha detto? Odio quando la gente mi scruta interrogativa, lì impalati a guardarmi fissamente... a scorgere che? Sono ciechi, ottenebrati... mi frugano." rifletteva Kally. C'è qualcosa di maledettamente sensuale nel ledersi un braccio, nel sentirlo erodersi come una pietra scalfita dai marosi pazienti del tempo. C'è qualcosa di irreversibilmente sbagliato e orrido nelle cose, in tutte le cose. Una componente perversa insita nella voglia animalesca di strapparsi la pelle di dosso, il peso dell'epidermide, il lacerio di un coltello, analogo al frastuono di mondi che collidono. C'è una voglia inspiegabile e velenosa nell'auodistruggersi e corrompere qualcosa di puro, sono spettacoli parossistici di follia avariata. Eppure Kally è una persona solare, sorride sempre, perché dentro di lei la merda suppura e imputridisce l'intaccabile, l'intoccabile che mantiene in vita ogni essere, ma che in lei è stato reciso, stuprato, martoriato, per supplire ride, ma amaramente. Un raggrumo di dolore, un coaugulato di male, è ammalata di troppa vita. Soi lesionava sorridendo, con le labbra atteggiate a smorfia e arricciate dal dolore, dall'appagante soddisfazione di contravvenire alla bellezza e darla in pasto ai porci. Sorride perché è una sensazione ruvida quella che si prova nello sperperare il Sacro. Un taglio netto, rettilineo, preciso dovete immaginarlo il solco sul braccio destro; nella vana speranza che un insulso dolore corporeo inaridisca e cicatrizzi un lerciume esistenziale inestinguibile. Le pietre assorbono sangue, mute collaborano, immobili contribuiscono, le pietre come il cuore: atrofizzate, immote, irremovibili, ma così vive, così vive... Penserete che Kally sia pazza, sia da rinchiudere e da emarginare. Chi dice che voi siate migliori? Le vostre vite prestabilite e irremovibili forse? Voi che dai vostri ipocriti pulpiti additate negativamente il resto del mondo, benpensanti idioti ammantati di Smoking a coda di rondine anche quando in estate il sole emana quaranta gradi "perché la vita è contegno" pensate, "perché la vita è burocrazia" credete, è l'apparenza che mantiene in vita la vostra aleatoria sopravvivenza. Falsi e bigotti nel vostro fumo di sigaretta che vi stagna addosso, ma che vi imputridisce la pelle, e l'anima. Voi che vi arrogate il diritto di criticare le vite altrui, maledetti ottenebrati. La vita si raggruma nelle stazioni, l'avete mai osservato lo squallore nelle stazioni!? Quei derelitti che la società istituita da cervelli "dabbene" come i vostri, ha preferito allontanare, quelli che dormono sulle panchine non nei letti a baldacchino, lì a intravedere gli attimi di chi ritorna a casa, gli abbracci e gli addi commoventi, ammirati a guardare le piccole situazioni basilari di cui la falsata meraviglia altrui li ha privati, quel senso di moralismo deviante. Voi donnucole col foulard intorno al collo e con la falsa ostentazione di una cintura di castità (ma piantata nel cervello), che giudicate dai finestrini sghignazzando le prostitute, vergognatevi miserevoli, che ne sapete della vita di quelle vittime? Delle loro costrizioni? Avete delle figlie, non alzate il dito, non puntatelo megere! Voi che vi stupide del drogato, ammutolitevi, azzittitevi seduta stante, ciò che non conoscete esula dalla vostra becera diagnosi. Siete voi gli ammalati, fallaci e tarlati nel cuore, la vita scorre molto più pura nelle carni dei disadattati, degli smarriti che non ce l'hanno fatta, degli appestati di sensibilità che si sono lasciati lacerare il cuore da uno stridio assordante troppo immenso da sopportare. Kally era ammalata e ammorbata, anche a lei il mondo gravava addosso con spine acuminate. Nel dolore fisico qualche volta si cerca un tampone assorbente all'insopportabile escoriazione che distrugge il filtro dell'anima. Kally non giudicava, le ferite non glilele leccava nessuno e neppure le coperte le rimboccavano, a modo suo, prettamente il mare leniva e attutiva quella sofferenza , ma la corrodeva, la smembrava. Lei lo sapeva, e si lasciava trascinar via dalla vita accondiscendendo tacendo. Il cielo si rannuvolava, il mare esagitato si adattava. " Essere umani equivale già a essere corrotti, deviati e carnali, equivale allo svolgimento di uno stesso unico finale, sta a noi decidere come lasciare che il sipario cali. Siamo insulsi e vacui, non odiamoci, la fratellanza non ha a che fare con la consanguineità ma con l'altruismo con il senso della decenza. Non possiamo mai trovarci tutti d'accordo sulle medesime cose, ognuno ha il suo senso della misura, le sue logiche, i problemi, ma non giudichiamoci, non assurgiamo a carnefici, tolleranza, per carità. Non giudicate, hanno tutti il diritto di protrarsi nei giorni colla propria malattia sul groppone, col proprio carico di dolore che lacera l'anima. La gogna no, per nessuno, comprensione, per carità. Abbiate fede nella cultura e nella bellezza remota dei tramonti, che i vostri abiti siano di transigenza non di sdegno. Marciamo degenerandoci in un nonnulla, lasciamo che il nostro seme sia fecondo e non innestato col veleno, abitiamo tutti una dimensione precaria, per carità: umettatevi le labbra d'umiltà. Pirandello lo ammazzate ogni giorno, quando giudicate il fratello, quando vi attribuite presuntuosamente il diritto della critica che non vi concerne col vostro sarcasmo disseminato di spuntoni. Domate il falso stupore e rammentate che la ruota gira per ognuno, le sabbie mobili non risparmiano nessuno. Evitate di puntare il dito, disarmatevi dalla paura del diverso, vi travia l'invidia, vi fuorvia la cattiveria, non siate invadenti. Il rispetto non ha a che fare col timore della malavita, né con l'omertà che vi rende comportamentalmente struzzi, né col timore di dire, il rispetto è ben altro, è senso del limite verso il dirimpettaio, nei confronti del seguitante. Il rispetto è cultura del bello, è edonismo buono, è tenerezza per il più sfortunato, è pazienza, è occhio esentato dalla patina di rancore. Abbiate il coraggio di tendere la mano, per agguantare chi è in caduta prima dello sfracellarsi, non per spingerlo nellì'abisso ulteriormente. Acquistate cognizione di causa e reclamate i diritti se vengono violati, non attendete che l'altro agisca per voi. Soffermatevi a osservare gli alberi e rami nerboruti, i cieli sterminati, i prati verdeggianti, le lucciole, la pagina ruvida di un libro, non si campa di ipocrisia e irrigidimento d'anima, neppure posponendo il danaro al sorriso del figlio..." Così dicendo Kally alzò il coltellino, se lo conficcò nella gola. L'epiglottide sussultò schizzando sangue, fiotti rossicci e copiosi le rigavano il seno, solcavano il mento. Gli astanti non se n'erano accorti, troppo impegnati a smanettare con la suoneria del momento. Morì così a suon di Can can. Tutt'intorno la merda era troppa, troppa tutta insieme non fertilizzò quel fiore, lo soffocò. E' morta con una smorfia strana, doveva essere un sorriso prima che il dolore lo storpiasse, perché Kally sorrideva sempre... lo stesso.