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- Scritto da Chiara Nirta
- Categoria principale: Rubriche
- Categoria: Stille di cultura
- Pubblicato: 27 Febbraio 2012
- Visite: 1556
di Chiara Nirta
...Ci sono poi quei pomeriggi in cui rimani intrappolato nel grigiore del cielo, ed allora ti identifichi con qualche nube che svetta sulla parte sbagliata dell'orizzonte, fuori posto... un po' come il tuo stato d'animo smunto si sente. Sono quei pomeriggi in cui i tram sono pieni di vita stantia, su quei sedili in cui si arroccano genti. Alcuni rabbrividiscono nelle felpe.
A Torino il gelo penetra, ché poi se sei del Sud ti trafigge il midollo ancor più, ti raggela il sangue nelle vene: altro che globuli rossi, schegge di iceberg. Nei tram gli sguardi apparentemente distratti e gettati a caso dai passeggeri ti perlustrano, tentano di indovinare qualche analogia strana con le loro vite: è presumibilmente un modo per sentirsi meno soli. Il tedio della vita accomuna un po' tutti. Altri passeggeri guardano fuori e non s'accorgono delle voci in sordina che s'azzuffano vicendevolmente, si astraggono e generalmente le orecchie ostruite dalla musica ottemperano al completamento di un estraniamento smarrito e vacuo, flebile. Sono quei pomeriggi in cui di solito pioviggina, e il cadere delle stille rievoca sempre la malinconia. Ma la malinconia non è la tristezza assoluta e deterministica. E' una leggiadra e soft ma irreversibile, che a modo suo ti ammanta e t'avviluppa, così se fa freddo ti ci crogioli in essa di solito, compiangendoti magari per un nonnulla che appare inguaribile: "ah, che vita grigia" sussurra la testa. E' una routine dolce farneticare, e poi sopperire con altri pensieri che di contrasto soggiungono: "però mi accontento, c'è chi se la passa peggio". E fingi di convincerti e sino al semaforo successivo ci credi anche, interrompi il vittimismo mellifluo per pochi istanti. Così la coscienza si ammutolisce e l'egoismo che ci corrode, si azzittisce per qualche momento. Sono pomeriggi amorfi, a cui s'abbina anche un certo umore indistinto. Un olezzo di nostalgia frammista a rimpianti inadempienti, t'avvolge. E Sembra poi, non appena la porta del tram s'apre e la soglia viene valicata da altri passeggeri che il freddo che si addentra furtivo ti evisceri, e lo stomaco piombi in un blocco totale e strozzante. I tram brulicano di vite vacillanti, di propositi a metà, di espressioni assenti. Enumerare le volte in cui uno sguardo si smarrisce nel vuoto è un'impresa, accade molto volte nell'intercorrere di un giorno, prevalentemente nei pomeriggi grigio-infausti. Il grigio-infausto è il colore del preludio della pioggia, il cielo ammicca illividito, sembra che voglia piovere e ti lascia invece in bilico, non sai mai se portarti dietro l'ombrello, è che il grigio-infausto si diverte a schernirci, ci beffeggia come un giullare, ma di una ilarità mezzo macabra. C'è poi l'arancio-triste dei lampioni alla sera, nostalgico ed orientale, si riflette sempre in qualche pozzanghera fanghigliosa, è narcisista e dannato come un poeta maledetto, dalla vita sregolata e pregnante di poesia, ah potessero parlare i lampioni dei vicoli bui, quante ne han viste loro. Spettatori incogniti di chi l'amore preferisce andarselo a comprare dietro al viottolo, senza bacio, soltanto un amplesso sterile. E il lampione coi barbagli arancio tristi illumina realtà altrettanto tristi. E' l'aureola degli amori clandestini, l'aurora boreale di qualche ubriaco. Un ubriaco che non beve per dimenticare, per sperdersi forse, e rodersi ancor più il fegato, dà una mano alla vita insomma. Le insegne invece sono sempre vivide, accattivanti, sembra che siano pregne di felicità, vogliono attrarti, abbindolarti le subdole insegne. Spiccano nel buio, e ti urlan dalle tenebre "Bar" o "Locale a luci rosse", "Pub", "Cinema", "Qui ricariche". Sono delle gran tentatrici le insegne, che si sfidano sempre a chi adesca più pesci lessi. E' che l'essere umano ricorrentemente è come uno di quegli insulsi moscerini che si lasciano attrarre dal colore giallo, sanno in verità che rimarranno anchilosati e annichiliti irrimediabilmente dal giallo, ma si arrischiano a occhi chiusi. E così gli uomini: vendono l'anima alle insegne, che con colori rutilanti e sgargianti avvinghiano l'insettino che sventra le sue tasche per regalarsi l'ultimo prodotto che il business infiocchetta in un sempiterno fluire, e che le insegne pubblicizzano sorridenti e grottesche. Le luci ci parlano sempre, dialogano coi nostri sensi. Il biancore della neve ad esempio, che rievoca candore e pudicizia è oggetto d'osservazione spesso per gli animi sopraffini e delicati, io onestamente ho sempre preferito il rosso porpora del papavero, il rosso non rosso dal pudore, ma dalla passione, dall'abbacinamento che bacco mi dona. I papaveri che di tanto in tanto ornano il verde riarso e inaridito degli sterpi, a maggio. Il papavero che rievoca lo scabro, il profano e i "mille papaveri rossi, che fan veglia dall'ombra dei fossi". Qualche volta dal finestrino del tram sembra di esser catapultati in una cavea e il mondo ne è l'arena. E' lì che vedi correre omini che s'affannano a tornare a casa con la ventiquattrore di malavoglia, donne con le buste della spesa dimezzate, perché con lo stipendio possono permettersi la carta igienica, che sottomarca sarebbe in verità tutt'al più carta vetrata. Vedi proliferare le espressioni sui volti dei passanti infreddoliti e li scorgi tutti intenti ad asciugarsi i nasi rosso-gocciolanti. I bambini dalle arie impertinenti alla fermata consecutiva, convinti che con quella linguaccia stanno valorosamente oltraggiando e fendendo il mondo di quegli ottusi adulti, sempre pronti a spegner il loro mondo zeppo di folletti e fate girovaghe, di coriandoli a carnevale e stelle cadenti che crepitano tra la cenere del camino, a dicembre. La vita scorre in un ripetersi di frangenti caotici e disparati, assortiti... tra luci e pendii, o etnie che si affrontano alla prossima fermata del tram, qualcuno ancora osserva con diffidenza "l'uomo nero", e mi fa tanta pena la sua visione delle cose, la sua ottica cieca e retrograda. Non sono persone, si limitano ad essere dei rigurgiti ipocriti di uno stomaco semicivilizzato, dove attecchiscono e si diramano cliché putrescenti, e che si avvale del nome di società. Gli eufemismi frequentemente assolvono bene al mestiere che li contraddistingue, no perché "pena" equivale a "nausea" o "conato di vomito", che dir si voglia in questo svilente contesto. La vita esonda e straripa dietro lastre di vetro, in alcuni pomeriggi, poi s'incaglia fatalmente e senza requie in minuti infiniti e la clessidra s'inceppa nello sballottante seguitare dei tram arancio-tristi. E pensare che il biglietto per lo spettacolo immane è così economico. Mancano però i rivenditori di popcorn al "teatro dell'assurdo", della "favola bella".
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