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Una volta che assaggi il disinganno la pace t'abbandona come conseguenza. Siamo sordide e ignare pedine di  una realtà che ci creiamo. Realtà come bolle in cui ci ovattiamo per riuscire a sopravanzare sugli asfalti della vita.

Ma le bolle sono fragili e flebili, illusoree e scoppiano. E noi? A terra, prontamente intenti a toccarci le schiene col terrore di essercele spezzate. Poi nuovamente edifichiamo un'altra bolla e così via. Di tanto intanto collidono queste sfere effimere e sono gli attimi in cui infieriamo l'uno contro l'altro come fiere. A che Pro? E' un grande gioco, rilassatevi esseri finiti! Ma il sapore del disinganno vorrei tanto risparmialo almeno a voialtri che campate quieti e sicuri. Voi che non vedete la morte al vostro fianco, pensate sia oltre oceano a flagellare e invece è dirimpettaia o vi costeggia. Voi che vivete spensierati come si conviene e vi tenete stretto il vostro lembo di realtà. Io che consto di occhi senza patina e preferirei qualche volta la cecità. Vi osservo brancolanti e lieti, vi odo sghignazzare e le vostre indifferenze mi ammazzano: il sole, vi siete scordati del sole e del mare. La generazione della comunicazione dite, soltanto perché vi riempite le mani di tecnologia inaridente e poi lo sciancato che cade vicino ai vostri piedi neppure lo sorreggete, preferite  tenere tra le mani le vostre idee finte di comunicazione, lobotomizzati illusi. Annacquate la bellezza della vita con l'omertà, vi voltate dall'altra parte, reclinate le teste, fate spalluccie e proferite insensatamente "che posso salvarlo io il mondo?" Sì. Tu. Io. Noi tutti. Siamo le goccioline di questo mare truculento e terribilmente bello e le goccioline sfruttano la coesione, la solidarietà non il menefeghismo. Se solo v'accorgeste di quanto insulsi siamo, di quanta pochezza difettiamo. Ma la vita è bella per questo. Sorridete agli Dèi con voluttà e suono di baccanali, fate rumore come gli sciamani e la paura si spaventerà. Ribellatevi e sovvertite sul ciglio del secondo il nerume e lo splendore. La vita ci è stata donata col contagocce, è limitata ed esigua, ma noi siamo sterminati, noi possiamo tutto colla forza dell'Amore e della Scrittura, noi soli gli artefici dell'avvenire, eccettuando le variabili indipendenti di casualità fluttuanti che potrebbero incidere. Ero seduta poc'anzi. Non so cosa sia di preciso ad investirmi, a rendermi brandelli la serenità. E' un allarme, è un lacerio strindente, è lava sotto le suole: mi sono alzata inopinatamente, soffocavo e la solita vertigine blu tentava come sempre di perpetrare asfissia, allora correvo e mi lasciavo qualche secondo dietro il calpestio. C'ero sono solo io, finché fuggo nulla può accadere, è tutto alle spalle, io sopravanzo. E di solito non ho mai una meta. Gli stabili tutt'intorno erano ammantati da un alone distorto e amplificato e la struttura circostante si solleva debolmente, lasciandomi intravedere solo formichine che scappano, si corteggiano, si respingono, un crocchio di nulla indistinto. E mi sento a casa. A casa nel caos. A casa nel tumultuoso e mutevole indefinito. Nella libertà piena dietro cui vengono meno tutte le etichette e le definizioni. Mi sommerge la voglia di piangere e mi sento gli iridi nuotanti nella morte come Jacopo Ortis l'istante prima di spirare. La testa gira ed il vocio del nugolo che mi è accanto s'amplifica, generalmente impermeabile a quell'accavallamento soverchiante di voci, mi lascio avvince in quegli amorfi momenti. E m'accascio, stento a respirare come se l'aria fosse spessa e acuminata. Vorrei piangere e disimparare che la vita è solo un illusione, rassegnarmi al fatto che molte delle cose che avranno luogo non avranno un fine preciso, se non quello di avvenire con lo specifico intento di rimanere ricordo. La sequela dei miei ricordi, sempre ripassata in rassegna quando il vento che spira dal presente mi opprime. La vita è una malattia quand'è troppa, e considerando che non lo è mai, è troppa presumibilmente la voglia che ho io di esistenza, ingordigia famelica di giorni. Il piacere mi stordisce e mi lascia allibita, è talmente rognosa la smania di campare che mi disarticolerei le ossa e disgregherei le carni per avvertirla più sommessamente. E' grottescamente spaventoso come la bellezza sia corruttibile e in esubero possa condurti ad un lesionamento interno della stabilità. La percezione maniacale del mondo, la bruciante consapevolezza che non posso riodinare il caos, che posso solo sentirmelo scorrere nelle vene mentre mi strappa le arterie. Cristo se tu fossi qui, ti direi che l'inferno ce l'hai donato in questa Terra e che amo bruciare e ardere in queste fiamme perché sono acque fresche e diafane in verità: io sono più arroventata! E le mie carni devo forzatamente portarmele appresso!