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- Scritto da Chiara Nirta
- Categoria principale: Rubriche
- Categoria: Stille di cultura
- Pubblicato: 08 Agosto 2012
- Visite: 1771
Marì lo guardava di sottecchi, sfiorandosi una coscia col polpastrello. Lei muta, mentre il corpo delineva dal desiderio ciò che lei non osava proferire verbalmente. Lui se ne accorgeva e prontamente ditoglieva lo sguardo.
Sapeva di quegli occhi che lo frugavano, ma persisteva nel suo mutismo e collo sguardo fisso sul suo caffè senza zucchero. Lei smaniosa alterava il tono della voce, come quegli uccelli che accentuano il canto precorteggiamento per farsi notare, come i camaleonti che ostentano colori sgargianti per spiccare. Manifestano ognuno a modo suo le bestie. Ma lui percepiva e reticente non alzava lo sguardo. Lei crepava: L'inarrivabile bisogno di far giungere un messaggio che apparentemente può sembrar inadempiente ci conduce sull'orlo febbricitante della follia, e ci fa ritornare sfiniti e caparbi all'insistenza. Ma Nico non si muoveva d'un millimetro. Ecco, ora accennava un sorriso obliquo e arricciato, tra lo scoglionato e il consapevole. Marì era conscia. Sapeva benissimo del doppiogioco di lui che la inchiodava a quella sedia, quel giochetto bastardo che eccita e stizzisce le bestie sovente, a lei la faceva arrovellare. Marì era una puritana tanti anni or sono. "Al matrimonio vergine" si diceva negli attimi focosi di libidine. Un giorno poi, l'odore rasposo e invitante della virilità ebbe la meglio. Da allora sa che nessuno ha l'anima troppo immacolata da scostarsi dalla recidente sensazione che umetta gli slip di tutto il mondo. L'ha imparato Marì, sa che a sottrarsene si rischia l'isterismo, che l'esimersi dalla passione comporta il disseccamento della razionalità rendendo chicchessia un essere inanimato in balia della caratterialità instabile. Un involucro su cui brulicherebbero umori altalenanti e indefiniti. Allora è giunta alla conclusione che: "Avevo dodici anni quando mi dissero che era peccato farsi palpare le gambe dall'uomo. Ché l'uomo è un opportunista: vuole quella cosa e poi t'abbandona. Avevo sempre dodici anni quando mi insegnarono che il bambin Gesù avrebbe pianto se mi avessero lambito un seno, che dovevo opprimere quella sensazione calda che mi si propagava a basso ventre in certi momenti, ma che io di nascosto sfogavo con uno strusciamento di cuscino. E poi lacrimavo perché avevo peccato... Ma io, ché il bambin Gesù non l'ho mai intravisto. Forse ché fuori pioveva ed erano quelle le sue lagrime? Il meteo diceva solo: perturbazione. Io credetti alla voce sintetica della tv, non a quella famigliare e suadente: forse che le apparenze ingannano? Avevo dodici anni quando mi dissero che "all'uomo menzu mangiari e menzu carnali". Ma io non sapevo cucinare ancora, sapevo parlare bene soltanto come i filosofi falliti, e sotto la pioggia me ne andavo senz'ombrello facendo le linguaccie. Il "carnali" poi, stava venendo su con me troppo bene per esser celato. Quando mi dissero che la carne è debole però mi dissero bene. Perché se non la soddisfi con L'Amore si imputridisce. Un giorno poi agli albori dei vent'anni impacciata e innocente lo conobbi. I suoi occhi mi rubarono quasi tutta l'innocenza, le mani depredarono il resto ed io volli. Quella refurtiva di vita stantia ormai gravava troppo. Lo amai una notte imparando dove mettere le mani per farlo gemere, a dove poggiargli la bocca per farlo schiattare e poi salvarlo l'stante prima con un bacio. Lui imparò a tenermi stetti i polsi ché io ancora mi smarrivo, ma lui mai mi lasciò sola. Era amore questo bambin Gesù, per me lo era. Forse dovrebbero insegnarci che tu faresti bene a piangere quando ci priviamo dell'Amore non quando ne elargiamo. Da quella notte ne trascorsero altre, i miei amori cambiarono in sintonia col transitorio. Il mio corpo si muoveva come una serpe e il cuscino lo utilizzai poi solo per poggiarci meglio la testa, che reclinavo dal piacere offuscante. Non mi vergognai più del mio corpo. Mi trovavo bella nella mia piccola spavalderia delicata di volere. Forse che amo lo squallore della vita edonistica e piena. Colleziono conati di piacere e sensazioni brucianti come il piscio dei Satiri. Mi insegnò la vita che siamo bestie pure noi e la natura ci dota di una tal magnificenza e voluttà che a non seguirla si rischia il linciaggio psichico. Che errati sono i moralismi ottenebranti con cui tentavano di mentirci; che la gioia piena e frizzante non è una prerogativa solo di Bacco o delle puttane. Girai poi un po' il mondo e mi dissi che sì: avevo visto più lontano: l'uomo corteggia e risponde agli istinti, ma sono particelle alchemiche comuni anche alle donzelle, che ribolliamo anche noi e ch'è corretto appropriarci del concupito che tenta, e che tentare non è solo diritto del maschio, che a torto ci hanno insegnato spaventevole e ingrato e da rifuggire. Poi un giorno, dopo ch'ebbi compiuto il mio peccato, amando il corpo di un bellissimo dannato mi accorsi che piangeva sommessamente. Era privo di difese, quello spaventoso borioso che sghignazzava prima, ora mi piangeva sui seni, biascicando "ti amo" e gli strinsi le meningi coccolandomelo. Forse che non è vero nulla, che le donne talvolta son peggio e più indelicate. Quanti ne abbiam smarriti putridamente per vezzo e venalità. Allora amo sempre. Allora rispetto la mia preda donandogli il cuore insieme agli slip umidi. E fermandomi un millimetro prima d'invadere." Giunse proprio a questa conclusione Marì. Nico si era voltato e approssimato già a lei nel mentre. Aveva percepito. Ci sono energie indomabili che ci traggono irruentemente catapultandoci all'attenzione del bersaglio e anche involontariamente e ignari veicoliamo il nostro destino. Siamo meravigliosi e perfetti quando amiamo e quando ci desideriamo l'un l'altro: siamo vividi e ferventi, smaglianti e possenti il doppio. Nico le strinse i polsi. L'aveva lasciata sufficientemente cuocersi nel suo brodo: a Marì piaceva agognare e guadagnarsi la felicità effimera immolando rantoli. A Marì piaceva lo squallore, se ne riempiva i serbatoi al posto delle bellezza, perché aveva imparato a dodici anni che in una latrina il cielo si riflette prepotentemente con lo stesso splendore. Ché forse l'orrido è soltanto un altro tipo di bellezza che non conosciamo. Basta solo pensare oltre e scegliersi le illusioni più aderenti. Scaltri abbastanza da sondare il putridume per poi assurgere brillanti e diafani alla bellezza consueta. L'altalenante che ci conduce e ci sbaraglia come fulminati tra l'immacolato candore e il marciume non esenta nessuno, le zavorre devono essere sempre equilibrate. Nico la sbattè al muro e lei si abrase un braccio nello strusciante contatto. Si amarono senza pudore come le bestie e si annusarono come i cani, fuori grondava pioggia e fulmini. I loro occhi solo lacrime purificatorie.
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