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Eléa era nel letto, il sonno tardava ad intorpidirle i sensi troppo desti. Era notte fonda, fuori pioveva senza requie, i pensieri si ingrossavano dentro di lei come serpi pasciute e sinuosi si aggrovigliavano. Cosa disturba il sonno di una donna, cosa le fa socchiudere la bocca e strizzare gli occhi come una reazione istintiva a voler sparire? Ricordi, nostalgie, notti andate, amicizie frantumate, uomini che non hanno capito, storie sbagliate, futuro incerto.

Ad Eléa tutto questo sembrava marginale, la sua testa era un garbuglio ancora più intricato, pensava a Johàn. Johàn che non era una storia sbagliata, non esistono storie sbagliate. Esistono storie anacronistiche, storie impedite, storie di una notte, storie mal assortite, storie veloci o troppo lunghe, storie strane, ma non storie sbagliate, e poi Johàn non era di certo una storia, era un uomo. Era un uomo che se ne era andato per la sua strada e durante quel lungo viaggio che intraprese condusse con sé la vita di Eléa e non si curò di restituirgliela, mai. Una notte di due anni prima, una notte piovosa era, lei lo incontrò zuppo d'acqua come un pulcino sotto il suo portone, chiedeva informazioni. Sai quegli incontri che la vita ti getta sul tuo sentiero e appaiono assolutamente casuali? Qualcosa del genere, che appaiono casuali e poi non sono, esattamente così. Non rimarrò qui a raccontare come continuò la loro discussione, come si attrassero e dove andarono, il punto focale è come vissero, cosa fecero? Se la mischiarono la pelle? Sì, cosa importa poi del tempo convenzionale che dovrebbe intercorrere prima di unirsi con una persona? Ci hanno fosse imposto una regola ferrea su quanto tempo debba trascorrere? Credo sia sufficiente dire che furono due anime svelte e repentine a conoscersi e a mischiarsi. Due giorni dopo l'incontro Johàn conosceva tutto la vita di lei, ogni dolore e ogni minimo spasimo, ignorava solo il suo cognome, un particolare omissibile direi, rispetto al quadro completo che lui aveva di Eléa. Era stato qualcosa di veloce e inspiegabile tra loro, la vita s'era accalcata tutta lì, si era schiantata in loro, e vivevano ogni secondo intensamente, come se scaglie d'eternità si conficcassero nei loro occhi. Erano a casa di lui quando lei nuda sorseggiava vino bianco, mentre Johàn la osservava ridendo, un po' beffardo. Lei poggiò il cristallo vitreo che conteneva il vino e prese a baciare gli occhi Johàn, erano belli e grandi, un po' orientali, scuri e venati di pagliuzze argentee quando un fulmine fuori si rifletteva dentro con l'intento di accenderglieli. Baciava quegli occhi che la scrutavano famelici; lui si denudò il dorso gettando la camicia alla rinfusa e prese a baciarle il collo con la stessa intensità di una bestia che si disseta finalmente dopo mesi d'arsura, e lei lo lasciava fare. Eléa sentiva la pelle rizzarsi e il cuore tamburellare esattamente come quello di un fuggiasco che vuole darsela a gambe, era una sensazione di pericolo, era la passione che s'accendeva. La passione quando s'anima ti sferraglia dentro e le vene si ispessiscono per contenere il sangue e distribuirlo uniformemente, la passione è una fuga è una corsa e s'accende la vita, la passione è una scorciatoia temporale e si viaggia anni luce, la passione concima ogni prematura sensazione rendendola frutto verace, e loro maturavano, maturavano vita, un' esplosione di tempo saturo e spesso, di tempo pingue e grassoccio che si scioglie al sole e da cui promanano giorni e notti a manate, così si liquefaceva su di loro la vita, si aprivano domande e si elargivano risposte, si risolvevano quesiti a ritmo di lingue, si conosceva l'infinito a suon d'istinti animaleschi, e la ragione viene segregata fuori, si sbriciola e si corrompe. Si baciavano e si nutrivano di sensazione, erano vigorosi e forti, sprezzanti, impudici, lordi di sudore e affamati di conoscenza interiore. Giovani e pieni di pensieri e la loro consapevolezza di un'onnipotenza puerile gli lustrava la pelle. Si baciavano e fuori pioveva -Lo senti come grandina? Le tegole sono batterie impazzite sotto i colpi del ghiaccio-, pioveva e questi si baciavano, con le lingue umide, c'avevano fame di corpo, si azzuffavano odori di fatica, e le ansie si rinsecchivano, la vita era volta ad alimentare spasimo, e pioveva ma niente, loro non udivano, solo sospiri nella camera insonorizzata delle loro teste, e guardavano e non vedevano niente, le bocche aperte, scandalose, scabrose e accoglienti -calore e fuoco di falò nella loro pelle, i baccanali dei vecchi pastori romani suonavano impazziti nelle loro vene- e si baciavano e il mondo s'arrestava, ma tutto volteggiava con loro. Cadde il bicchiere contenete vino e insudiciò il tappeto, ma non udirono c'era una danza di serpi in corso ad assorbire la loro attenzione, non c'erano pensieri né preoccupazione, era una sola corsa verso l'acme di una montagna irta, e nessuna scorciatoia confondente, ma un unico orizzonte. Terminò quell'aggrovigliarsi ma non si dissero niente. Meccanicamente si vestirono così come s'erano disabbigliati. Lei tornò a casa a piedi ché fuori la pioggia era cessata. Non si rividero, che lieto fine volevate? Vi hanno abituati agli standard delle favole, vi hanno resi avvezzi alle cattive abitudini da fumo di sigaretta... la vita non è questa, non è sempre lineare, non è un percorso ben articolato, è uno spaccato frammentato di esperienze e atti mancati per lo più, i pezzi di puzzle sono irregolari e spesso non abbiamo tutti i tasselli al momento giusto, si salda così l'esistenza, dobbiamo smussarla e plasmarla noi. Non si rividero mai più, ma state pur certi che si amarono. E sa Iddio se la vita di lei non s'impigliò in quella sua, e ora vagava dove poggiava i passi Johàn. Ecco cose teneva desti i sensi di Eléa, il ricordo di quella sera strana e mai sbagliata, mai rimpianta, non si devono rimpiangere le cose. Le circostanze hanno un seguito spesso dato da un'equazione del caso e le somme non sono mai somme ma tutt'al più sottrazioni, divergenti dal risultato che vorremmo. Eccola sveglia adesso a ripensare a quel passato, che come insegna Virginia Woolf è bello solo nel futuro ciò ch'è trascorso, la vita rilascia un retrogusto percepibile solo in seguito. Eléa è una ragazza normalissima, non è speciale, non è normale e non è bella, priva com'è del naso ingentilito a patata, che c'insegnarono connota i visi delle principesse. La vita è disillusione è disinganno, è un cane famelico, non è un tessuto omogeneo, non è un'unica sensazione di piacere, è dolore e sangue, è sesso senza fine talvolta e quasi mai amore bruciante ed eterno, perché l'amore non coincide colla continuità necessariamente, né la gioia con la stabilità forzatamente, siamo figli dell'intermittenza e dell'egoismo altezzoso del discontinuo che torna e va quando gli pare. Il nostro campare è modulato da forze grandi e impazzite e il desiderio in un'ottica Leopardiana è perpetuo e non si sofferma mai, neppure per un momento, non conosciamo l'appagamento ma l'ambizione, chiedetelo a Palazzeschi se la morale è vera o non è forse come la religione un cantuccio stabile e illusoriamente permanente che ha un fetore d'attenuante sorpassata, la corruzione del corpo, la sensazione lancinante del piacere limitrofa al dolore e alla perdizione è un morbo della gioventù, è tutto millimetricamente calcolato, nonostante ci appaia tutto un caos indistinto e senza ragione e senza scopo. Chiedete a Pirandello cos'è la verità e si farà una crassa risata rispondendovi che la verità è un raggiungimento impossibile, che decidiamo noi cosa sia la verità, che stabiliamo di non vederla e mutarla perché altrimenti la nostra vita affonderebbe irrimediabilmente, o decidiamo di alterarla abbinandola al nostro stato d'animo dell'attimo che ci contiene. E' che quando si vede e si conosce troppo insegna Papini, si hanno due alternative, o ammazzarsi, od omettere qualche visione soppiantando la necessità maniacale di conoscere ancora e dunque danzare, cantare, ballare, vivere, essere liberi da ogni concetto che ci hanno inoculato sotto la pelle, invece che lasciarsi morire di nichilismo. Cosa vi attendevate dalla vita di Eléa, una perfetta ricostruzione dello standard 'visse felice e contenta'? Mischiò la sua pelle con un uomo che non rivide, amò il suo corpo e il suo modo di respirare, il modo in cui quelle poche volte le concesse l'ascolto minimo di una vita che nessun altro s'era curato di udire, se non per modificarla elargendo consigli omologati e banalismi d'ogni sorta. Eléa amo così sottilmente Johàn, e perché una sfaccettatura d'amore diversa dal consueto dovrebb'essere opinabile? La vita non va alterata o costretta va presa come si presenta, la conseguenza non è il limite, ma solo l'esito che attesta che abbiamo scelto. Non abbiate paura di campare.   -Di Chiara Nirta.