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E' la storia di uno che storia non ne ha. Non ha nome, né identità, è solo lo specchio semantico di quello che gli altri con negligenza e approssimazione ci trovano riflesso. E' un perdente accasciatosi felice tra coloro che della vittoria non sanno cosa farsene.

Conta soltanto sulle forze che una gioventù troppo svelta gli ha decimato, non fa leva su nessuno, non chiede ausilio, ma non è un dissociato. Ama, discorre, vive appassionatamente ma tutelato dalle sue zavorre, dalle sue riserve. Non è cattivo, ha gli occhi stanchi, anche se nel suo cuore si muove subdola una fiera famelica e com'è dura tenerla a bada. Quando gli sputano in faccia la presunzione che lui per pudore ripudia, rimane indeciso se convertire la voglia di assestare un bel pugno disintegrato qualche setto nasale in una animata discussione innocua, o con la ragionevolezza mediare la foga e trasformarla in un discorso logico. E' uno che corre con in mente i propri obiettivi, conscio del fatto che non giungerà da nessuna parte, perché non è forte e l'audacia gli è concessa quando oramai è anacronisticamente inservibile. E' un fumatore incallito, coi polmoni pesanti e anneriti, sempre intento a smettere, sempre incapace e adirato da una voglia di sputare sulle scale persino l'ultimo alveolo, è un incostante cronico. E' uno che se ne sta in disparte e se lo provocano guarda il tutto in un'ottica futura, raccontandosi tante bugie sul fatto che le cose muteranno, che è un momento e i colpi di testa sono solo giustificati dall'amore. Si alza di notte, serpeggiando nel sonno pensante di chi gli dorme accanto, s'affaccia dai vetri delle finestre appannate, ma la luna è offuscata dalle luci cittadine, tristi e sparse come lucciole bambine. A volte si sente mancare, come se il cuore smettesse di battere, si dà uno scossone e tossisce catrame, nella speranza del proposito nottumabulo di piantarla l'indomani, e così via fino a quanto gli rimane. Si dice apolide, ateo e disilluso, eppure casa sua sono tutti i luoghi, s'appoggia a molti precetti per non crollare del tutto, e beve illusioni come Gin. E' contraddittorio e inarrivabile, indipendente e repentino, schizza, si volta, si rincantuccia, sparisce, ma è sempre lì: ha solo una buona mimesi. Solitudine labirintica, l'andirivieni immotivato di vite che transitano nella sua non lo scompone, la transizione è preziosa anche quando depreda, è il grande bluff, chi non annaspa rimane sotto, e fortunatamente è un gran nuotatore fra i marosi anomali della caducità. Solo che non avere alcuna via e inoltrarsi in tutti pertugi conduce all'insensatezza, ma s'accontenta, sapendo che un significato non c'è e ogni contenuto è perfettamente vuoto e leggero come Perelà, siamo noi a riempirlo e a compiangerci successivamente, come se la stoltezza non potesse essere veicolata e le conseguenze non ci appartenessero, mentre invece si appiccicano e il conto si salda forzatamente: il dazio non è mai modico. E' un'incollocabile, non lo si può categorizzare, non prende posizione, perché la metafisica netta le sfaccettature controverse da ogni incongruenza fallace: il mondo tutto è suo. E' un buon amatore, cinico e sensuale, ma giusto e rispettoso, dannatamente grottesco su richiesta, ma se lo si lascia riposare preferisce addormentarsi sul seno di qualcuna, dimentico del mondo e del corpo suo stesso ignudo: solo dune che contengono un'altra vita. Non ha pace, ma le battaglie lo sfiniscono e lo eccitano, non si tira indietro, ma rimane impartecipe, è solo pervaso dal flusso della vita che scorre, ma non è incolpevole e brucerà fra gli ignavi. Non potrà mai essere giustificata la sua intermittenza, ma non ha scelta. Ama osservare le movenze della gente e degli oggetti, coglie il movimento dei rettili distanti nonostante la miopia si frapponga, è un caparbio. Ma può essere caparbio un discontinuo? Può essere temerario un arrendevole? Può, ma non può decidere quando. Però ama le sue malattie, e adora dannatamente giocare a disintossicarsi, coi libri, coi propositi vacui di notti stanche, con la bella retorica, col latte caldo, spegnendosi la sigaretta sul braccio... non c'è verso, e l'importante no è partecipare. Lo si vede nel buio solcare vicoli orridi e discorrere col politico e il drogato, sempre indeciso su chi compatire, perché i morbi sono diversi e tutti uguali, le debolezze tutte differenti e le medesime. Ogni tanto finge di non vedere e continua a sorridere trasversalmente come l'amore gli infonde pazienza, e gli censura i colpi di testa, eccettuando i casi d'innamoramento. Innamorarsi è un il lato incancrenito della peste bubbonica, ma il terminale muore dalla gioia nel veder compiersi la vita che voleva: Una vita inadempiente per morire appagati.  -Di Chiara Nirta-