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'I semafori continuano a lavorare di notte, proprio come il logorio interno dei tuoi pensieri, proprio come le angosce che non ti lasciano dormire, esattamente come gli impulsi irrisolti senza forma che ti spengono la serenità.' Disse Spaventanò dal balcone di casa sua, mentre il paesaggio cittadino si presentava intermittente e silenzioso, agghiacciante e afoso.

' I semafori continuano a lavorare di notte, le insegne dei negozi rabbrividiscono lugubri e silenti, so di avere un'espressione strana sul volto, non ho uno specchio ma sento il mio volto atteggiato in una posa d'orrore, le espressioni di dolore mi storpiano la faccia. Il sonno sereno è dei giusti, eppure non credo di aver mai goduto di nel far del male, se l'ho fatto, mi sono sempre vergognato e ho pagato tanto, anche le colpe che non erano mie. C'è un punto nel cuore, un punto sensibilissimo, una volta che te lo spaccano sei fottuto per sempre. Non c'è ritorno. E' quel limite sottilissimo che se oltrepassato non ti concede più di far ritorno, non ho mai capito bene quando l'ho superato realmente, sono solo consapevole di essere ormai troppo oltre, troppo. Sbattuto dietro un muro insormontabile; forse è stato tutto lo schifo che ho visto, forse è stato a spaventarmi il dolore insopportabile del cuore che si lacera, fa un 'crrrrrraaaack' eclatante e terrificante, sembra un cigolio e invece è un ululato, di bestia ferita e arrabbiata. Oramai non so neanche arrabbiarmi, è come se ad incassare ci avessi fatto il callo. Forse è stato il fatto di aver dato via per pochi spiccioli il mio senso della sopportazione, troppi rumori forti, troppi tradimenti da occhi a cui volevo bene, odori nauseabondi, rapporti ammalati, sbagli che mi avrebbero cambiato per sempre. Forse è stato quella volta che proprio non me l'aspettavo, o forse me lo aspettavo meno peggio, che ne so?! Un quantitativo minore di cattiveria sputata in faccia. Forse è da quando ho riposto nella scrittura ogni ultima speranza stuprata, l'ultima ancora di salvataggio contro ciò che scorre e si corrode di colpo lasciandoti a boccheggiare sul letto pieno di lacrime, lacrimare fino alla convulsione, fino al vomito, finché la saliva si raggruma e non ti lascia deglutire, ma scrivere non preserva dal dolore, anzi... è un po' come fare i conti col te stesso che non vuoi udire, dico 'udire' perché alla fine non ti ascolti mai per davvero, ascolti e segui sempre il silenzio di quello che non dici neppure a te stesso. L'ho già detto? Il sistema nervoso me l'hanno rotto, non ho più neppure il senso dello schifo. Non esiste una cosa che mi faccia più davvero schifo e orrore, non dico di aver già visto tutto, ma ho imparato ad aspettarmi di tutto, a dubitare in modo cinico di ogni persona, di me stesso e quindi è la fine. Sono profondamente destabilizzato e l'equilibrio non credo di poterlo trovare in questo mondo, anche perché sono un vigliacco e lascio che i problemi si ingigantiscano, invece che chiarezza fomento la confusione, è una perversione del senso di salvezza, mi piace affondare e annaspare all'ultimo per salvarmi, ma ogniqualvolta sto per inabissarmi per sempre riemergo, riemergo però sempre meno, sempre meno, arriverà un giorno che l'acqua arriverà alla gola e io non potrò che abbracciarla e accettarlo, perché è il destino degli uomini come me, morire di schianto, morire male. E' un microcip di carne o di psiche che si ha dentro della nascita, è il senso del tragico, e non è affatto eroico è spaventoso e angoscioso, non ci si può salvare. Una vocina dentro ti dice inevitabilmente che qualunque azione tu compia o no, qualunque scorciatoia tu imboccherai per tentare di sfuggire sarà perfettamente vana, e quando scopri il bisbigliare di questo sentore sei già con un piede nella fossa; forse morirò a novantanni ma la mia morte avrà avuto luogo molto tempo prima, la tomba sarà solo qualcosa di ufficiale, una convenzione, quelli come me muoiono troppo presto, di schianto, l'ho detto! Perché la vita si prosciuga prima per chi brucia troppo in partenza, non sapersi dosare è una maledizione e la colpa non è di nessuno, si nasce in questo modo, è innato, è una scheggia di destino che si pianta in mezzo alla vita e non puoi sormontarla, non sto cercando attenuanti è ciò che ho visto. Un po' si nasce tragici, un po' ti distruggono e ti lasciano in balia della delusione, per troppo tempo la delusione si prendeva le mie giornate felici e la mia ansia e la mia insicurezza crescevano, facevano anche loro il compleanno, avrei potuto fare meglio, avrei potuto fare tante cose che non ho fatto per timore di agire malamente, qualche volta il senso della vita, l'anima delle cose credo si trovi al di là di ciò che può essere giusto o può non esserlo affatto, è sufficiente fare una mossa, gli atti mancati sono mostruosi, i personaggi della letteratura ne sono disseminati, io pure. A volte mi concedo ritagli di vita strani e singolari, passo dall'osservazione degli innamorati nel loro momento di felicità al pensiero che un giorno mi dissero di aver impiccato un cane sul ramo più alto di un albero, così per giocare a fare azzuffare l'amore con lo schifo, lo schifo e l'amore, inconiugabili eppure tanto vicini da coesistere nella natura dell'essere umano, è questo che non mi spiego. No, non troverò mai requie in questo mondo, forse non ci tengo neanche, eppure è in notti come questa che credo, anzi per dir meglio più che altro spero che un Dio esista, perché posso aggrapparmi solo alla sua misericordia, ma guardandomi in giro mi rendo conto che siano stati più i miei demoni a tenermi compagnia, quei compagni schizofrenici, bastardi e devianti con cui ho passato quasi tutto il tempo. A volte sembra che la mia vita si dilati e l'ipersensibilità si accentui in modo disastroso, le voci soverchiatrici della gente accanto sono un mormorio intollerabile, gli odori dei fiori mi stomacano e i sorrisi dei bambini mi rendono irritabile, vedo tutto sfocato e sento fiamme da qualche parte del mio corpo, ma il calore si propaga uniformemente, così da non farmi capire cosa cazzo stia avvampando. Quando la lava smette di scorrere avverto freddo. Freddo anche a quaranta gradi eppure scotto, sudo, piango silenziosamente, mentre nessuno sa, mentre nessuno sente. Il mio sistema nervoso è pieno di forellini, è ridotto brandelli, ci si sono puliti il culo, li ho lasciati fare con un senso di impotenza e arrendevolezza. Quando scrivo faccio le facce strane. Quando scrivo sono solo mani, forse le voci narranti sono un urlo dall'Aldilà, forse sono il frutto indistinto delle persone che hanno fatto passerella nella mia vita col buono e col cattivo, colle conseguenze inevitabili dei rapporti, anche quando non sono conseguenza, quando sono scelte d'astensione alla conseguenza, forse è solo pazzia, o è il bisogno di piangere inchiostro e dare forma a un dolore che ne è privo, ma tagliente quanto basta. So che il dolore non ha fattezze corporee, ma so anche che è affilato e quindi lo immagino conficcato e lordo come un pugnale in quel punto del cuore sensibile, sensibile. Non di rado il mio sguardo si smarrisce fra le bollicine nere delle tazze di caffè, provo a contarle per dissuadere la mente, come enumerare le stelle, qualcosa come dare un nome a tutti i sassolini del mondo, un infinito inutile che mi ovatti da questo stato pietoso e alterato. Ho tanti progetti concreti, spesso non vanno in porto, perché dando ragione a Pessoa l'ansia di quello che sarebbe stato, la paura di cose che certamente non accadranno mai, praticamente il tormento di eventi che non esistono di fatto sono molto più catastrofiche del reale problema di domattina, l'energia perlopiù si prosciuga così, fra loro, nel caos. Credo che la voglia di vomitare sia una conseguenza normale a tanto male, mi ha indotto a non avere neppure più il coraggio di provarci, neppure il coraggio di spendermi, perché sprecarsi, c'è un buco enorme che inghiotte tutto e che rende il tutto proprio un bel niente, prima o poi. Finché t'innervosisci, finché hai la capacità di adirarti non lo sai, non ci credi, ma va tutto bene, sei vivo, una parte di te ci spera, ci prova, s'intestardisce a ritentare, il nichilismo invece nel suo stato cronico è l'avvisaglia della morte dei sensi. Se ciò avviene in tarda età è triste ma comprensibile, da giovani è l'equivalente di un masso al collo. E' facile per gli scrittori sedersi a tavolino e predicare che non bisogna arrendersi, è facile per i religiosi predicare che bisogna fermarsi alla Croce, è facile per i borghesi imporre ai figli le loro frustrazione, è tutta gente che ha avuto la fortuna e la presunzione di assumere una posizione, ma nel mondo non c'è posto per gli indecisi e per i dubbiosi, per i ricercatori di una verità qualsiasi, il mondo le chiama nel modo più svariato: filosofi, pensatori, menti pensanti, poeti, folli, cretini, sovvertitori, in verità sono solo dei tormentati, degli smarriti, dei poveretti, inaccontentabili e disadattati reietti, neanche gli psicologi possono racchiudere in una patologia il comportamento dei condannati al viaggio, forse solo la scrittura può contenerli e dar loro una qualche dignità. Schifo ne ho visto tanto, l'ho subito, respirato, combattuto, ma non l'ho mai temuto, credo solo che continuerò a camminare portandomi dietro la mia malattia, sicuro solo di diffidare sempre, ma almeno voglio farlo senza paura.' Concluse Spaventanò, mentre i semafori continuavano a lavorare, tristi e silenziosi lampeggiavano rosso.