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- Scritto da Chiara Nirta
- Categoria principale: Rubriche
- Categoria: Stille di cultura
- Pubblicato: 06 Ottobre 2013
- Visite: 1656
Elise stava appoggiata con la testa sul finestrino dell'auto, fuori pioveva sottilmente e talmente piano che le gocce non si disgiungevano, sembrava cadesse una nebbia bagnata e triste, una cappa bianca che inumidiva l'asfalto. Aveva appena finto di fare l'amore Elise, i capelli scompigliati, il sapore acre del sudore ancora in bocca inasprito dal fumo di sigaretta, il profumo di lui che la impregnava e il mascara oramai disfatto; adesso guardava fuori e la sua testa era da un'altra parte.
Da un'altra parte lì, lì dove stanno spesso i filosofi, i poeti e gli scrittori tutti assieme. Si era ricordata per un attimo del Professore dell'università, ormai vecchio, coi capelli bianchi e un viso scavato più dai libri che dall'età, un ometto buono che aveva detto senza retorica vuota ma schiettamente privo di fronzoli:' Le commesse, i muratori, gli spazzini non sono inferiori a noialtri studiosi, conducono sono un tipo di ricerca diverso, forse sono solo meno consapevoli di certi ghirigori vitali, sono meno disillusi e sanno vivere più felicemente, forse sono loro che possono insegnarci di più, posso mostrarci la felicità e l'umanità facilmente, senza quella sovrastruttura esistenziale con cui noi guarniamo tutto e allontaniamo il bello e la semplicità per un cumulo di macerie condizionali. La Storia non è utile 'praticamente', la Storia è utile perché ci aiuta a conoscere l'uomo.' Elise rifletteva su quelle parole, mentre il finestrino aperto faceva trapelare pioggerella, che si posava dolcemente sulle sue labbra. Elise voleva imparare dai libri e dalla strada, dalla Storia, da tutto... ma finiva col diventare un'ottima insegnante e una pessima alunna: spiegava bene agli altri il da farsi, ma lei seguiva unicamente l'istinto dimenticandosi precetti e schemi, frasi... L'istinto porta lontano e lei era una scheggia istintiva, la si percepiva a chilometri la sua impulsività del non saper stare fermi. Scorrazzava per la città cogli occhi sgranati, quando si metteva in testa di voler imparare dall'armonia delle forme armoniose o spigolose delle case, dei monumenti, delle chiese, dei tratti somatici degli stranieri con cui si intratteneva sbobinando un pluringuismo che non era nessuna lingua riconosciuta, ma un collage ufficioso di entusiasmo, curiosità e fonetica. Lei era Apolide come gli autori che leggeva, apolide d'anima: senza dogmi, fedi, posizioni perentorie né forme costringenti, ma una patria familiare per tornare e in cui iniettarci tutta la sua malinconia l' aveva eccome, ma era una patria strana, calda, rossa, arsa, antica, barbara, conservatrice, profumata di sopruso e leggi indipendenti, incipriata di menefreghismo, nonostante fosse di una bellezza sconvolgente, soprattutto alle sei di sera quella patria, in estate quando sembrava che il mare vichingo s'aprisse in un boato di schizzi e nubi, eppure adesso molte cose tra cui i ricordi avevano un sapore strano, come d'addio... e di benvenuto l'attimo dopo, la stranezza delle emozioni ha dell'incredibile. Fuori continuava a piovere leggermente, l'asfalto era imbrattato d'acqua e riflessi arancioni di semaforo, i passanti da lontano sembrava si rincorressero o facessero a gara per infilarsi nei bar sempre aperti. Elise guardava ma non vedeva, era una spettatrice passiva, consapevole e impotente della vita che scorreva. Sapeva bene che proprio tutto è una bugia, oppure una verità ingigantita sorretta da altre più piccole e diverse, tante quanti erano i cuori delle persone, vissute un tempo e viventi oggi, o in domani lontano, cuori contaminati da un presente-passato di aggiustamenti illusori pre-morte. Non valeva la pena accigliarsi e spendersi in un ideale solo, forse la cose più logica sarebbe stata accettarli tutti con una crollata di spalle, dopotutto anche Elise aveva solo vent'anni e il domani oscuro la impaurava poco: l'energia della giovinezza fa sembrare tutto impossibile, certi amori, come la morte stessa: la vanagloria della possanza, per poche stagioni. Rassegnarsi qualche volta non è arrendersi è solo scegliere quando e come illudersi, è stabilire un limite al disinganno e preservarsi i sogni a suon di utopie distanti e sempiterne, quelle che ci fanno sopravanzare e che mai acciufferemo, le variabili se sono indipendenti decidono per noi e ci lasciano il giuoco dei finti domatori. Fuori pioveva e il suo cuore era da un'altra parte, non dove stanno gli scrittori i poeti e i filosofi, no... era nel regno degli innamorati, qualcosa di simile ma opposto: mente e testa non viaggeranno mai assieme, paradossalmente conviveranno in un unico corpo lacerando un Io che non sarai più Tu
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