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- Scritto da Chiara Nirta
- Categoria principale: Rubriche
- Categoria: Stille di cultura
- Pubblicato: 18 Aprile 2012
- Visite: 1762
Alice lo intravide con un'occhiata repentina. Nonostante avesse la vista impedita da un crocchio di gente innanzi a lei riusciva ugualmente a riconoscerlo, l'andatura di Giorgio era inconfondibile. Passi repentini e poco distanziati, svelto come se dovesse proseguire a ritmo d'onde, e calpesticcio simile allo sciabordio delle stesse.
Braccia sincroniche e nerborute, sguardo accigliato e labbra distese. Come non individuarlo? Malgrado a distanza non scorgesse un fico secco per via della miopia, anche se poco accentuata le movenze di Giorgio erano riconoscibilissime anche a duecento metri per Alice. Soprattutto ora che ora correva per raggiungerla, per rivederla, dopo quell'ultima volta che s'erano lasciati con un "Ciao" proferito sommessamente e che aveva raschiato il palato ad entrambi, lasciando all'interno delle loro bocche riminiscenze dell'acidognolo e stucchevole sapore dell'addio. Ora si ritrovavano, si riconiugavano per pochi istanti esiguo-intensi. Eccolo dirimpetto a lei: solito volto scarno, consuete occhiaie violacee sovrastanti l'abitudinario sorriso mai corroso. Le mani perfettamente proporzionate ed espressive. Le sue pupille avide la frugavano dappertutto, in ogni dove senza tralasciare interstizi. Alice si sentì penetrata da quegli sguardi indagatori, percepì un lacerio e la sua anima svellarsi ed ergersi, attecchire in aria e proiettarle l'immagine di lui parimenti, in una prospettiva poliedrica vista dall'alto e da ogni angolazione. Lui non proferì, perseverava come un inquisitore a interrogare il suo corpo, a estrapolarne i cambiamenti, a voler scorgere i mutamenti più minuziosi. Ed invece il nulla, Alice si conservava come protetta da cellofan: perfettamente eguale a cinque anni fa. Nemmeno lui era cambiato, integralmente indenne, il tempo non l'aveva solcato, gli aveva concesso l'immutabilità fisica. Dentro di loro invece nell'intercorre di quegli anni le cose si erano riversate, azzuffandosi e mischiandosi insensatamente, erano inturgidite, altre affievolite, alcune interamente estinte, altre erano state fomentate. Ora erano più navigati rispetto ad allora, più perspicaci e molto, molto più fragili ed intolleranti. Ed anche anche più soli e necessitanti. "Alice, non sei cambiata affatto", disse lui impacciatamente. Le mani gli grondavano sudore. "Neanche tu, a quanto pare..." Rispose lei avanzando un sorriso che le increspò la bocca. Sorrise trasversalmente, sembrava una smorfia di dolore quell' ostentamento di labbra. Si salutarono dandosi rispettivamente dei baci sulle guance. Niente abbracci, l'imbarazzo non permetteva affettazioni. "Bando ai convenevoli Giorgio. Arriviamo al sodo. Sai, odio le tergiversazioni. Ho mantenuto fede alla promessa fattami, non t'ho mai scordato. Come avrei potuto? Agognai tanto alla dissipazione del tuo ricordo, ma è un labirinto dal quale non sono mai riuscita a fuggire, un rovo ed io un filo impigliato dal quale non sono mai riuscita a districarmi. Un chiodo fisso perpetuamente conficcato e scisso tra stomaco e amigdala. Nell'amigdala sono inoculati gli istinti primordiali, ed ogni notte, ogni singolo maledettissimo annottamento della mia vita in questi anni è stato intaccato dalla tua presenza. Ti ho amato oltre il confine del comprensibile, ti ho desiderato finché le mie carni hanno smesso di bramare e anelare corporeità, finché hanno principiato ad urlare convulse, aspirando al solo spirito. Come faccio a cancellarti? Ma non vedi che sono rimasta incagliata in un groviglio di passato? Il mio futuro è stato frammentato e disperso. Oggi è la resa dei conti, è la conclusione, il nodo che si slega, l'intrico che si sbroglia. Voglio che tu sparisca per sempre dalla mia psiche, dall'ambizione vana di poterti stringere, voglio allontanare quegli occhi che iniettano in me stanchezza, che mi prosciugano: occhi feraci i tuoi, colmi e fecondi, ma che sanno solo ledermi..." disse Alice stringendosi nelle spalle e rabbrividendo nella felpa che la conteneva due volte. Giorgio proruppe con voce salda e ferma, non claudicante ma energica e determinata anche se dentro vacillava e tentennava per inciso come se il terreno gli si fosse sfaldato da sotto i piedi. "Cosa vuoi? Pensi che il mio vissuto sia stato rettilieno e costante? Privo di sofferenza? Smettila di compiangerti. Le tue carni sono rassomiglianti a quelle di un tempo, ma la tua debolezza che a breve rasenta il vittimismo quasi mi stomaca, non sei tu!" Sogghignò, mentre lo sdegno gli aggrottava la fronte e gli alterava la voce. Stizzito declinò lo sguardo, che rivolse e tentò di cristallizzare sulle foglie che il vento faceva turbinare insieme a delle buste di plastica stinte, come per fissare meglio un pensiero, o per discotarsi da un dubbio. Ma le pagliuzze roteanti e frenetiche non gli consetivano di immortalare e passare in rassegna alcuna meditazione. Perché era così restio ed irruento nei suoi confronti? Perché la odiava? Dopotutto lei desiderava soltanto sprangare l'uscio del passato e seguitare, ma lui non intendeva, ottuso e protervo l'aveva aggredita. Alice si sentì mancare, sentiva le gambe venirle meno. Un peso le gravava sulla testa. Non si capacitava. Perché la bistrattava così? Era come se tutto il peso del cielo le gravasse addosso, come se tutto l'ambiente circostante si fosse scolorito ed una grossa vertigine blu, una vertigine raggelante e mastodontica come un buco nero l'avesse inghiottita. Il cirondario si era liquefatto in un nonnulla, il tempo precluso, non avvertiva né lo scorrere degli attimi né il sangue irrorarle i capillari. Aveva freddo. E pioveva. Giorgiò si ridestò dalle elucubrazioni, lesto e scaltro superò la pozzanghera fanghigliosa che rifletteva le loro immagini e la strinse. L'ubriachezza amorfa di Alice si amplificò, sentiva il cuore tamburellare come impazzito. Che stava accadendo? Era forse folle Giorgio? Che intenzioni aveva? Le strinse i polsi dapprima e successivamente piantò le proprie pupille castane e maculate da frastagliature verdi in pieno volto a lei. Inchiodati si osservavano spiritati, simultaneamente la pioggia li inzuppava. Iniziò a baciarla, forzatamente ficcò le labbra impertinenti tra quelle di lei, delicate ed esangui. Inutile il tentativo di divincolarsi, del resto Alice si dimenava muovendo a malapena un dito. Voleva farle male o amarla? Non lo sapeva neppure lui, era conscio soltanto che la resistenza labiale si era arrestata e le lingue si erano aggrovigliate, senza un perché, era solo così che doveva andare. E l'insensatezza sconclusionata stava avendo luogo. Si baciavano voluttuosamente, con la stessa intensità con cui una fiera si ciba della preda inerme e reietta, e Alice lo era. Le bocche si erano riassemblate spudoratamente, ingarbugliate e fameliche, voraci ed arroventate. Pioveva ma era irrilevante. Il freddo ora si attenuava dietro una patina di passione, dietro una coltre di follia imperscrutabile. Giorgio le cinse i fianchi e con un filo di voce, ansante le sussurrò "Come puoi chiedermi di smettere di importunarti le notti? Perché vuoi amputare un filo che ci lega. Ti fa male vero? Ti dilandia e ti occlude il futuro? E' un filo. E' tutto ciò che abbiamo. E' il nostro tratto incontaminato di scambio. Perché vuoi mutilare la comunicazione? Mi stai chiedendo di spegnere l'Amore? Mi stai chiedendo di raggelare la follia e di ibernare i sensi? Ti Amo Alice. Non so da quando è cominciato, sono solo consapevole del fatto che non è mai finito. Questo sentimento inenarrabile è il cantuccio che ci ripara dalle bufere della vita, non puoi chiedermi di smantellarlo. E' il confine da cui non passano gli anni, in cui non transitano le spiegazioni, men che meno le scuse, è la caverna che ci protegge dalla convenzionalità, è la certezza incorruttibile, è un filo soltanto, non t'avviluppa ma ti sostiene. Ed anche se ti sotiene col volto rivolto nell'abisso insondabile, non temere: non permetterà mai che tu cada dentro, impedirà sempre il tuo schiantarti al suolo. Perché desideri stramazzare sfracellandoti bocconi sull'asfalto? Io ti tengo. Ma ora annusami, sniffa le secrezioni corporali che olezzano, il sudore che mi rende madido, fiutalo! E custodiscilo, è il mio corpo che ti rende omaggio, è la sua reazione al fuoco. Ho sofferto, ho rigurgitato le ossa, non hanno capito Alice. Non hanno captato loro. Cosa ho visto Alice?! Sapessi quanti cocci di vetro sono schizzati nei miei occhi, quante scaglie acuminate mi hanno squarciato gli iridi: Baciali, baciali, baciali, baciami gli occhi..." Alice ottemperò, ubbidì senza porsi alcun tipo di domanda. E l'arcipelago di dolore che giaceva stantio e latente fra le palpebre deteriorando gli occhi di Giorgio, fu assorbito da quel lambire di bocca...
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