CalabriaInforma

Valutazione attuale: 5 / 5

Stella attivaStella attivaStella attivaStella attivaStella attiva
 

Aveva le ghiandole linfatiche irrobustite tanto quanto le vene che gli si erano ispessite, causa: irrorazione  sanguigna copiosa  e recalcitrante. "E' che noi siamo esenti da definizione, perché abbiamo scelto di vivere in sprazzi latenti. Forse abbiamo ragion d'essere soltanto nell'indefinibile esoneramento della categorizzazione. Non vi è nulla di troppo simmetrico, niente di troppo definito.

La vita s'imprime e s'inturgidisce concretandosi nei vuoti. L'impalpabile ci libera dalle maschere. E' nell'illecito che amiamo. Nella contravvenzione che sprigioniamo sentimento. Le nuvole, se le nubi fossero smisuratamente delineate sarebbero strisce stratificate e rettilinee, rassomiglierebbero a strade asfaltate; invece sono informi, sono ricotta densa e fluttuante, si librano nell'aria incolpevoli e difformi, insapori, inodori: sono nembi e si contraddistinguono dal selciato. "Così l'Amore, privo di classificazione, nei pochi istanti che si concede, nel suo evolversi mi promuove alla vita, senza obiettività né oggettività, così T' amo. Ti ho sempre amato, nonostante la coniugazione e la riconciliazione nostra fosse distante migliaia di chilomentri d'asfalto, a due ore di cielo e a migliardi d'anni luce dalla realtà". Meditava così Lorén, col volto assorto contro il cielo ed i nembi che inghiottivano il sole. Tratti somatici guastati dall'impotenza d'abbracciarlo e ghiandole come bozzi a ridosso del collo. Le membra reagivano al virsus sentimental-onirico... le ghiandole si ingrossavano per tamponare il periglioso, per inibire il contagio. Si umettò le labbra Lorén mentre dava da mangiare ai piccioni che zampettavano accanto la panchina limitrofa. Lorén era folle, la società le aveva sbattuto la porta in faccia ed ora prediligeva ingozzare i piccioni piuttosto che intavolare conversazioni con gli umani, Lorén era integralmente "fuori come un balcone", svalvolata, un impiastro di pazzia e utopie smozzicate. Lorén aveva amato come soltanto una donna può. O come soltanto chi antempone all'amore tutto, persino la propria esistenza, che azzittita sopravvive antecedento le palpitazioni passionali del cuore. Si era sbucciata il cuore appresso a lui, l'aveva atteso invano sotto la pioggia, aveva aspettato le sue assenze enumerando i riverberi che annottavano sul suo viso, corrugandolo contro le gocce d'acqua che frustravano l'aria circostante, attendendo l'assenza che non si sarebbe risolta in corporeo. Le luci stroboscopiche che danzavano nei suoi occhi come coriandoli impazziti ogniqualvolta lo visionava col pensiero proiettandolo persino contro l'acciottolato, erano luce abbacinante contrapposta allo sguardo smunto e dimentico di lui quando ripensava all'infanzia recisa. Lui viceversa aveva sovente gli occhi gonfi dal dolore ma non lo ammetteva, sorrideva per esorcizzare le emozioni strazianti che si arricciavano sulla sua nuca, ma lei le percepiva sempre egualmente, malgrado il voler manter fede di dui alla latenza dello strazio.  "Quando si ama, si ama senza raziocinio, per inerzia travolgente ad una sensazione che ci avvinghia, e nulla può, nulla può il senno di poi tranciato sul nascere. Ha la meglio l'istinto, mentre la ponderazione arranca senz'esito, senza sortire, senza attecchire. Le diramazioni dell'amore si ramificano in tutto l'essere e l'intrico pulsa fino ad imporporarci ogni singolo membro di quell'essenza che rimpolpa le tendini con ebbrezza brulicante. E io t'attendo da qui a cent'anni, ti scovo col mio iride roso e logoro dalle piogge, pregno delle tue insicurezze, di quelle omissioni che s'avvalgono di significato insondabile. Io t'aspetto sempre, per depurarti, per svuotarti, come un espediente sguizzante che se ne sta adagiato buono buono nella sua ombra, che si mimetizza col nulla. Mi hai disarticolato il cuore e lo hai riassemblato a caso, adattandolo agli sfizi, alle ore vacue e stinte che per rianimarsi ti spronano ad attingere linfa da me. Ma sono lo sfizio più felice del mondo..." si disse Lorèn mordicchiandosi il labbro inferiore, fino ad escoriarlo lasciando scivolare una stilla di sangue sul mento. La lingua si impregnò di sapore metallico e  lei deglutì a fatica per divincolarsi da quel gusto aspro. Un quatitativo esiguo di sangue le stava rendendo la bocca un rasposo viluppo di note aromatiche. "Forse l'amore è strettamente correlato al sangue, e questo alla passione, che a sua volta costeggia la pazzia rasentandola e seducendola sino a renderla puerpera del frutto che or sono: un frutto Amaro, senza stagione, sconclusionato e dispersivo, un raggrumo di nulla ma traboccante di rantoli di dolore e di gioia sprezzante e fioca. L'Amore è costellato di punte di Amarezza, ha il sapore del sangue. Il sangue è il dazio che pago per attendere la manna che non arriva se non per detta dei creduloni. Ma per sopravvivere ed evitare di dare di matto, non di rado radichiamo le nostre vite in credenze prive di fondamenta solide. Ah, scordavo... io son già scardinata, di rinsaviere non se ne parla, come potrei privarmi di un'Amore? E' la morte, è la morte, e i suoi occhi, i suoi occhi, quelli sprizzanti amarezza, hanno bisogno dei miei baci! Baci guaritori... baci medicamentosi, baci arroventati... ti bacio, ti bacio, perché io?..." Lorén farneticava dondolandosi sulla panchina, i passanti non si stupivano: "Lorén è folle, ma innocua, sempre lì a delirare e nutrire piccioni coi sassolini che arraffa nelle aiuole"...  Nel mentre il vento soffiava forte e le raffiche spazzavano via prepotentemente pagliuzze, pulviscolo, piccole sporte di plastica, il sorriso dei passanti e la sua giovinezza, rendendo l'aria satura e imbeuta di follia caldo-avvolgente.