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Quando da Nord me ne ritornavo nella Mia Terra, dentro mi si apriva un boato di dolore e meraviglia, accompagnato dalla sensazione di timore e attrazione, come un mare mosso che s'apre e spampana orgasmi di cavalloni bianchi.

Un divario fatto di tante personalità, una metafora geografica ed esistenziale che in me si ripercuoteva confusamente ma con linee ordinate da percorrere nei pensieri: sentieri dell'essere in cui smarrirsi senza identità. Sapevo cosa provavano gli emigrati nostri, il dolore straziante dall'allontanamento marino e ceruleo del nostro blu. Un blu che i Calabresi hanno nell'anima, assieme al rosso. Il rosso è dei tramonti spremuti e liquefatti sulle coste reggine, ma anche della voglia di sangue barbaro, il rosso sangue che si inasprisce fino al caos dell'inciviltà. Noi abbiamo un disagio immenso quando proviamo a collocarci nella vostra civiltà borghese, sapete forestieri? E' così. E' un grande limite, ma anche una grande risorsa. E' che ci vince l'istinto animale, ne siamo crucciati e consapevoli. Ma l'istinto animale, lo stesso, ci porta ad amare anche il doppio di voi. E' così. Voi mirate solo l'esterno caos della presunzione animalesca e voluttuosa. Ignorate però l'Amore assillante ed eterno a cui siamo stati indirizzati da un destino fatto di polvere e notti stellate. Nei nostri paesi assieme al muschio riarso delle tegole e al cemento scaglioso c'è tanto Amore. Lo so che non lo vedete, ma c'è: nelle rughe stanche e slabbrate, cotte da tanti soli or sono dei nostri vecchi, c'è nella pazienza stanca dei padri che coltivano la terra affidatagli dagli anni romani, nelle tradizioni buone che resistono allo sfascio pedante e travestito da niente della tecnologia, c'è nelle onde del mare che macinàno gli sguardi indiscreti e vividi dei nostri bambini, c'è nei racconti fantasma e speranzosi dei nostri vicini che quando uno di noi se ne va narrano dell'anima che rimane incagliata nell'amaranto degli acini, ancora per un po', perché il dolore assume strane forme e sforma la razionalità già labile, c'è nel sesso carnale dei baccanali che dànno vita a tarante indiavolate, tarantate a cerchio per non perderci, c'è nel mondo silenzioso che ci circonda, che con le parole non ha a che fare, sono fili invisibili di consuetudini giusto-sbagliate che ci hanno marchiato a fuoco, per sempre, c'è nel freddo pacato che combattiamo con caminetti ardenti e vino, nel nostro modo di mangiare informale vicino al fuoco -al fuoco-, anaforico simbolo di passioni taciute e forza estorta da regole nostre, c'è nella complicità muta dell'aiutarsi senza ostentazione pure fra sconosciuti, in onore di quel dio che s'è fermato a Eboli per noiAltri, che qui abbiamo dannato con benedizioni mafiose e osannato coi calvari delle feste di Paese, c'è nelle mie descrizioni a lungo fiato, prive della secca e pausante magnanimità di un 'punto'. Potete amarla questa Terra od odiarla colle sue rogne incancrenitesi, ma non potrete mai Ignorarla.