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- Scritto da Chiara Nirta
- Categoria principale: Rubriche
- Categoria: Stille di cultura
- Pubblicato: 10 Gennaio 2014
- Visite: 1607
Mentre mi siedo, il nodo alla gola si ingrossa - non c'è niente di poetico o eroico, sembra che un nodo di cravatta si diverta a strozzarmi-, fatico a respirare nonostante l'aria fluisca, ma è come se l'ossigeno pesasse.
Ho bisogno di muovermi, le mani nei capelli con l'istinto disperato di proteggermi la testa. Poi alla fine il soffitto non crolla. Le pupille si dilatano e le gambe si devono muovere, devono scappare perché la terra si apre sotto i piedi e sprofondo, ma poi non cado mai purtroppo, non m'inghiotte ma io ci casco sempre lo stesso. Tutti i giorni la morte mi sorride tirandomi dal collo, poi quando m'arrendo e non può più torturami, forse prova pena e mi lascia spompata e sudata, accasciata con la schiena contro qualche muro. L'attacco di panico dicono, sia un conflitto irrisolto. Da noi ci mozzicava la tarantola e allora dovevamo ballare per disintossicarci da un latrodectismo che non esisteva. Un conflitto irrisolto. Se un serpente, uno scorzone ti sfiatava, se una tarantola ti mordeva, dovevi ballare, altra pace non c'era se non nel movimento continuo della tarantella. Sembra da pazzi, ma la latta rudimentale e la pelle di capra simbolo di Pan dio dell'irrequietezza con cui i tamburelli erano costruiti, quando davano vita alle tarantolate col lamento acceso dell'organetto accompagnati da quel fracasso di baccanale ti rendevano lapillo umano, e le gambe facevano leva sul suolo involontariamente, non si resiste alla musica, no, è l'unico modo per disintossicarsi. Santo Paolo ti guariva se gli dedicavi la messa e camminavi scalza e umile davanti a lui, fino a lui, per lui, l'umiliazione, perché?, ma ti guariva poi, per finta, poi l'inferno della smania ricominciava. Mentre mi siedo sul pullman mi infilo nelle orecchie le cuffie sparate a palla sul ballo di San Vito, le mie mani come quelle della tarantolata Maria di Nardò si muovono all'impazzata, tamburellano su ogni superficie e via colle gambe su e giù! Mi guardano, vorrei dir loro che non è astinenza da coca, se le pupille sono dilatate e i movimenti sono frenetici è solo voglia di troppa vita, è colpa del disadattamento, è colpa del ragno. Ma al Nord non lo sanno. Quando mi ha morsa non ricordo, neppure quando è cominciato il morbo e l'orrore. So solo che non guarisco. L'unico rimedio è la tarantola e Vinicio col Ballo di San Vito che m'avvisa che questo è il male che mi porto da tanti anni addosso e ferma non so stare in nessun posto. Per gli spiritati non c'è casa. Per gli inappagati da ogni spiegazione non c'è rimedio. Per gli ammalati di inquietudine non c'è Alprazlolam che tenga, esiste la penna. Quella puttana della penna, che mi fa godere al solo pensiero di amalgamarmi con l'inchiostro e diventare Parola. Sputare via il lerciume che mi smangia il cervello e mi alza la pressione sanguigna e raccontare al mondo il dolore di una non verità. Io sono l'anticonvenzione e scegliendo la libertà ho scelto l'inferno, non si può mai stare fermi, per quelli come me non c'è una realtà, c'è la depersonalizzazione alle tre di notte. Per quelli come me la bellezza ha il gusto strano delle cose depravate, del lercio, del profano. A volte penso ai bordelli della Suburra, alla vita godereccia dei romani, alla licenziosità dei corpi sudati che si mischiano a mazzi e non provo schifo, perché ho abolito le definizioni e le regole della borhesia, pure la moralità vostra; è un modo naturale di campare come un altro, non esiste lo schifo e il degrado nella mia tabella di marcia, esiste il diverso. Il diverso che è tutto uguale e tutto accettabile. La paura mi fotte, sì. E' vero. Vivo come in un film, cercando di ammalarmi delle psicosi di tutti i personaggi che leggo in letteratura e capisco perché Virginia Woolf s'è rimepita le tasche di sassi e i polmoni d'acqua, il cazzo dopo un po' te lo rompi. Ma ho il terrore che la pellicola sia troppo breve, la mia. Non puoi vivere quando vivi troppo. Se percorri la vita e t'accontenti sopravvivi lucidamente, ma se è la vita a percorrerti non hai scelta, lo schifo assorbito ti gronda dentro assieme alla meraviglia e non li distingui più, il confine che li separa i contrari è linea trasparente, così le contraddizioni diventano integrazioni. E non so se sia meglio o sia peggio. Io non sono nessuno, nessuna delle immagini che mi avete proiettato addosso mi corrisponde, semplicemente perché lungi da me l'idea di farle coincidere, con la legge pirandelliana estremizzata del non incasellamento sono immune da definizioni, perché non me le lascio aderire addosso. Il vantaggio della non identità, pagato a sangue comunque. Mi pianto nel cervello come la punta fredda di un iceberg il precetto di Don Miguel Ruiz: non prendere nulla in modo personale, perché il tuo corpo è parte di un'interazione più grande e allora anche il male che mi potreste fare lede meno, ma vale anche per l'Amore, purtroppo, nel senso che vale meno. La tarantola quando continua a mordicchiare si porta via un pezzo di serenità e dover sempre correre cogli occhi spiritati, dover essere sempre attratta dal rosso come la brace dell'inferno o i falò delle baccanti è sfiancante. Sono camaleontica, ma per questo mi sono smarrita e non so tornare indietro, forse neppure lo voglio.
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