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- Scritto da Chiara Nirta
- Categoria principale: Rubriche
- Categoria: Stille di cultura
- Pubblicato: 06 Febbraio 2014
- Visite: 1972
Batteva forte il sole, a sangue. La pelle di Mela s'era abbronzata da farla sembrare un'araba. Scottava la terra e lei scarpe non aveva, la polvere si conficcava fra le unghie dei piedi; i sassi le avevano reso i talloni tesi e duri come la pelle caprina dei tamburelli.
La domenica lavorava lo stesso, solo il sabato per scrupolo religioso cuciva, ma ferma no, mai, non poteva, non sapeva. Le mulattiere tagliavano Girgenti come un puzzle incomponibile. S'era sposata a diciotto, dopo sarebbe stata età di zitella, ma u figghiu non veniva e la Madonna non esaudiva. I capretti scannati di nascosto dietro i granai in onore agli dèi pagani che avevano scacciato i cristiani durante l'apogeo dell'intolleranza, erano sacrifici di sangue muti contro una volontà che non si piegava. U carusu non veniva u stissu. U masculu non poteva essere, gli uomini non potevano avere problemi, eri lei la portatrice difettosa di qualche guaio della natura, di qualche errore che non scontato il padre scontava la figlia nel grembo che non fecondava. Povera sciagurata, povera miezza mugghieri. I raggi spaccavano le teste chinate ad affaccendare nei campi, le bisce sfilavano accanto alle ginocchia piegate e le zanzare dissanguavano quello che restava, si rientrava prosciugati. Le teste chine e spaccate erano quelle di fimmane, c'era pure quella di Mela. Alla sera lui la aspettava, stanca o no non poteva disonorare il letto, e dopo averlo onorato col sangue e col sudore spremuto finché sembrava puzzo d'asino s'acchiappava le busse ugualmente, perché u carusu non ne voliva sapiri. Era un albero secco e meritava schiaffi, era colpa sua o di so patri, la sua non di certo, era 'n 'masculu. Nnon hannu culpa i masculazzi, iannu serietà e lavuru di ncogghiu. I giovedì sera Jeli, coi baffi quasi spioventi, di primo pelo e anacronistici per la sua età, i capelli nerissimi, la faccia butterata e le braccia ormai possenti ed abituate ad abbrancare interi sacchi colmi di olive la attendeva per le commissioni, doveva portare sei uova a donna Tiresa senza romperle contro l'acciottolato irto, e un pezzo di ricotta fresca, in cambio le dava mezzo pane cunzatu, la specialità del pastorello. Nei paesi vicini era famoso il gusto salato, oleoso e speziato di quel pane come non se ne erano mai assaggiati in tutta la terra del fuoco. Mela s'affruntava e diventava rossa quando lui gli diceva "che bedda 'sta gonna Me'... te l'ha cucita su misura Donna Marietta", abbassava gli occhi e quand'era lontana aveva voglia di passarsi le mani tra le gambe, sentiva solletico abbassoventre e non sapeva perché. Jeli pure. Ma aveva imparato a sfogarlo quando era stato al Nord, una sera che l'avevano portato apputtane, ora c'aveva solo la mano e l'erba di fiori gialli e trifoglio per pulirsi. Già lo dicevano che lei se la faceva con lui e in un certo senso era vero, solo che entrambi non se ne accorgevano. I vuci arrivano lontano come il vento e penetrano più a fondo, fino alla follia collettiva della possessione ch'è sorella dell'annientamento. So maritu era stato colpito dalla raffica di quel vento, quella mattina che l'ammazzò a tumpulate, finché un rivolo di sangue era sceso lento e solenne macchiando la farina. Quando il medico disse 'aspettava un picciriddu', u maritu protetto dal delitto d'onore arrispundiu, "ie mmortu un figgh'i pulla".
(Postilla: Parto dal presupposto che uno scrittore che sveli troppo del suo racconto, raccontanone le minuziosità non narra lasciando lo spazio interpretativo al lettore e la libertà inviolabile che consentirebbero a quest'ultimo di interpretare appunto in modo soggettivo e personale; ma questo è un miniracconto di per sé inventato, che ciononostante vuole denunciare i tempi andati (fortunatamente), in cui le mentalità ristrette e grette facevano della donna oggetto sessuale di possessione e forza lavoro nei campi schiacciandone la dignità umana, ancor più estinta e violentata dal delitto d'onore. E' un racconto antisessista a favore della condizione umana rispettata e dignitosa che spetta a ciascuna donna. Anche se oggi, rispetto al periodo in cui si svolge la narrazione le cose sono cambiate è bene rinfrescare la memoria, per non dimenticare, per estirpare anche l'ultimo stereotipo vile nei confronti del sesso femminile, e questo era corretto preventivarlo anche a costo di assottigliare la libertà del senso narrativo. Il racconto ha luogo al passato ma la violenza contro le donne dev'essere avversata sia al presente che al futuro. I casi di femminicidio, i soprusi e gli insulti alla figura femminile trovano ancora posto in una società talvolta fintamente emancipata, sensibilizzare è una delle poche armi bianche che ci rimane. Era doverosa la premessa, ribadisco. L'autrice si scusa infine per il dialetto talvolta incomprensibile e scurrile, crudo a tratti, ma era inevitabile per "rendere l'idea")
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