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- Scritto da Chiara Nirta
- Categoria principale: Rubriche
- Categoria: Stille di cultura
- Pubblicato: 27 Luglio 2014
- Visite: 2802
Non si scrive mai in equilibrio. Si scrive sul baratro un attimo prima di cadere. SI scrive come adesso sui tovagliolini lordi e consunti di un bar malfamato, in mezzo al silenzio urlante degli ubriachi, in mezzo all'odore nauseabondo e triste delle donnacce che dalle vostre comode case giudicate, dal finestrino che si para come séparée tra un finto universo e un mondo vero, non vostro. Il fatto è che si scrive dappertutto e soprattutto dove uno meno se lo aspetta. Si scrive con la testa in fiamme, si scrive peccando d'innocenza, perché le cose vanno dette senza veli e allora appaiono grottesche, ma sono solo vergini, realisenzetichette. La realtà ha il volto maciullato dalla vita, non piace a nessuno. Il candore è vacuo come un'illusione nell'ombra, inconsistente, inarrivabile. Voi ci dovete perdonare se noi scrittori ci arroghiamo la licenza poetica di parole assurde come incoerenza, ma non abbiamo altro, se non questa specie di attenuante al nostro doverci seguire facendo senza di una continuità di cui non abbiamo La Patente; concedeteci la tolleranza, c'è un filo di pace anche per i terminali, da qualche parte, forse. La nostra non vita segue delle curve iperboliche e il collo non ci si spezza per un soffio e il cervello non implode per il miracolo della continuazione di questo strazio meraviglioso. Mi sembra che la rete dell'ossimoro si sia da sempre aggrovigliata in me, ma senza il filo d'Arianna rimane un viluppo di memorie. Uno scarto di opposti che castrano a fatica. Io sono. Voi ci dovete scusare se vi guardiamo strano, spiritati, da qualche dimensione fantasma, le stesse dalle quali trapela per noi lo spavento della vostra vita fintamente sicura. Scrivere non è un mestiere, lo è per chi mercifica la poesia, per chi vende la Scrittura, per molti di noi è la medicina che ci trattiene debolmente attaccati a uno stato di lucidità mentale, da cui si scorge il filo spinato della pazzia. A volte qualcuno di noi ci rimane intrappolato, e non torna più di qua, neppure per scherzo, neppure per salutare la droga delle abitudini che gli sussurra di essere attaccati chiappeatterra a una realtà di consuetudini. E' difficile leggere, quando sgorga la scrittura, è difficile pensare, e respirare, un fiume spontaneo di dolore senz'argini. Scrivere era tutto quello che potevo fare, che potevo essere. Nella maggior parte dei casi le allucinazioni che vado vergando non vengono lette, perché è penoso e inutile parlare al foglio delle cose che non esistono. Eppure è necessario l'inesistente, perché è quello che spaventa e fa sognare, franare le speranze o accenderle. Come la lampara triste dei pescatori che passa costeggiando, con una scia di nostalgia gli occhi insonni di distanti imposte, così la penna.
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