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Ogni mese di Novembre, in concomitanza con la festa di Ognissanti, l’entroterra e  le campagne della costa calabrese vengono impreziosite da fitte reti rosse, poste sotto gli immensi olivi secolari che abbondano nella nostra terra: il tutto al fine di raccogliere l’oliva, prezioso frutto degli ambienti mediterranei dal quale viene estratto il più che famoso olio. E, all’indomani della seconda guerra mondiale, ci fu chi pensò bene di sfruttarne le sue immense potenzialità per creare lavoro e sviluppo.

 

L’ulivo è una pianta da frutto originaria dei paesi arabofani, ma, più in generale, dai paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo; se impiantato in altri luoghi, che non godono di un clima mediteranno (come il sud Italia)la pianta d’ulivo stenta a crescere e, in ogni caso, non produce frutti. La potenzialità dell’oliva sono enormi, ed ingenti sono i prodotti che possono essere realizzati dalla sua lavorazione: non solo il famigerato “olio extra vergine d’oliva”, ottenuto tramite spremitura meccanica del seme del frutto, ma altre numerosissime varianti: “l’olio vergine” appena spremuto viene “raffinato”, cioè depurato da alcuni elementi chimici (gli acidi grassi liberi) con lo scopo di neutralizzare l’acidità dell’olio grezzo. Quante volte vi sarà capitato di assaggiare “l’ogghiu friscu”, magari accompagnato da del pane ancora caldo, e di provare un intenso sapore acido? Ecco, il processo di raffinazione, sia chimico che biologico, è proprio necessario all’eliminazione di questa acidità, alla sua “neutralizzazione”, in gergo tecnico.

Ricapitoliamo. In casa nostra cresce una pianta unica al mondo, la quale produce un frutto che solo nel nostro ambiente riesce a produrre (sarà la cara vecchia ospitalità calabra); inoltre, con questo prodotto si possono realizzare tantissimi incantevoli lavorati alternativi. Risultato: immensa opportunità di lavoro, ricchezza, crescita economica. Ed è quello che, nel 1946, sfruttando ancora i fondi del Piano Marshall, capirono e misero a frutto alcuni imprenditori bovalinesi: il dottor Pasquale De Domenico , in società col geometra Giovanni Muscatello e col Cav. Antonio Speziali, diedero vita ad un ampio plesso industriale per lo sfruttamento e la raffineria dell’olio d’oliva: la R.I.C.A.

Le attività della R.I.C.A. si concentravano prevalentemente sulla raffinazione dell’olio d’oliva, utilizzando metodi all’avanguardia per l’epoca considerata. Il processo di raffinazione consisteva nel trattare l’olio d’oliva vergine con della soda caustica o con del carbonato di sodio (chimicamente, quindi); l’olio, a quel punto semiraffinato, andava incontro ad ulteriori processi di decolorazione e deodorazione, con il quale esso diventava un prodotto inodore, insapore, incolore, pronto per essere confezionato e messo in commercio. L’olio prodotto dalla R.I.C.A. veniva poi utilizzato come base per altri cibi, come olio di frittura, come ingrediente essenziale per cosmetici e prodotti farmaceutici,  come combustibile per le lampade ad olio. 

La R.I.C.A. , grazie proprio alle moderne tecnologie utilizzate, ebbe un periodo di intensa e fortunosa attività produttiva: gli oli realizzati nello stabilimento bovalinese non erano solo conosciuti in territorio locale, ma erano considerati tra i più accreditati del mercato nazionale: a quell’epoca, non si conoscevano ancora le immense potenzialità dell’olio d’oliva e il processo di raffinazione era un qualcosa praticato solo in alcune industrie del nord. Mente in tutta Italia non si conosceva ancora cosa fosse il “punto di fumo” o cosa fossero “gli acidi grassi liberi”, a Bovalino, nella R.I.C.A., si utilizzavano le tecniche di raffinazione suddette proprio per innalzare il punto di fumo ed eliminare gli acidi grassi liberi dell’olio grezzo.  Sarebbe pleonastico soffermarsi anche su quella che  rappresentò la R.I.C.A. per il territorio bovalinese in termini di crescita economica: posti di lavoro, prestigio, giro di soldi. In due parole, sviluppo economico.